Costretta a indossare una maschera di raso e violentata: condannato l'aguzzino perverso

Costretta a indossare una maschera di raso e violentata: condannato l'aguzzino perverso
di Marcello Ianni
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Mercoledì 9 Marzo 2022, 08:52 - Ultimo aggiornamento: 09:00

Costretta a inviare i turni di servizio, filmare ogni giorno la propria biancheria intima, e fare atti di autoerotismo mentre era al lavoro. Nulla in confronto agli innumerevoli rapporti sessuali forzati prima e dopo aver lavorato, arrivando persino alle lacrime, che invece di impietosire il presunto aguzzino, lo avrebbero eccitato. Ieri la dibattuta vicenda che ha ruotato su M.C. di 54 anni originario di Roma, operatore presso una struttura di servizi sociali in città (assistito dall'avvocato Gianluca Di Genova) e la parte offesa, un'infermiera dell'ospedale (assistita dall'avvocato Simona Giannangeli) ha avuto l'epilogo.


Il Tribunale dell'Aquila ha condannato l'imputato alla pena di sette anni e mezzo di reclusione, la metà di quanto richiesto in aula dal Pm Guido Cocco. L'imputato è stato assolto dai reati di atti persecutori, minacce e alcune violenze sessuali, mentre per altre è stato condannato dal collegio. Secondo le ipotesi iniziali dell'accusa rimesse in parte in discussione dalla sentenza di ieri sulla quale occorrerà leggere le motivazioni, dopo l'avvio della relazione sentimentale la parte offesa sarebbe stata costretta ad indossare una maschera a raso di colore nero e farsi scattare foto mentre era nuda, costretta a compiere atti di autoerotismo. Rapporti in parte forzati che hanno preso avvio nel 2017.


«Giunta al lavoro- si legge nelle carte dell'accusa- e sempre sotto la minaccia della divulgazione, la parte offesa doveva videochiamare l'indagato, recarsi al bagno e masturbarsi».

Venuto a sapere che la donna si era legata con un ragazzo, l'uomo avrebbe rincarato la dose, costringendola ad avere rapporti sessuali filmati con il telefonino fuori l'ospedale, con tanto di saluto finale al nuovo compagno. Anche in questo caso sotto la minaccia «di uccisione dei suoi cani, della famiglia del nuovo compagno». La malcapitata sarebbe stata costretta a «inviargli i turni di servizio mensili di lavoro, chiamarlo la mattina quando usciva per andare al lavoro, a mantenere il contatto telefonico lungo lo stesso tragitto, a telefonargli più volte durante la giornata».


L'imputato è stato condannato anche all'interdizione dai pubblici uffici e dal lavoro per tutta la durata della condanna. Al termine per un anno dovrà essere sottoposto alla misura personale dell'obbligo di tenere informati gli organi di Polizia sulla propria residenza e sugli eventuali spostamenti al di fuori del Comune di residenza. Infine l'imputato è stato condannato anche al pagamento di una provvisionale per la parte offesa quantificata in 10mila euro.

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