Rigopiano, inchiesta sui depistaggi: prosciolto il colonnello dei carabinieri Di Pietro. Che ora accusa

Rigopiano, inchiesta sui depistaggi: prosciolto il colonnello dei carabinieri Di Pietro. Che ora accusa
di Stefano Buda
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Mercoledì 17 Giugno 2020, 09:05
«Sono più amareggiato che soddisfatto, per una vicenda che mi ha fatto molto male e per un sistema che ancora una volta, in alcune sue componenti, non ha dato prova di maturità e senso di responsabilità». Sono parole durissime quelle pronunciate dal colonnello dei carabinieri Massimiliano Di Pietro, dopo che il Gip Elio Bongrazio, su richiesta della Procura, ha archiviato l’indagine nei suoi confronti per presunte omissioni sul caso dell’Hotel Rigopiano. Indagine che prese le mosse da un esposto presentato dal padre di Stefano Feniello, una delle 29 vittime della tragedia, nel quale si accusava Di Pietro di avere trasmesso con un anno e mezzo di ritardo, pur essendone in possesso fin dalle prime fasi delle indagini, gli esiti degli accertamenti tecnici eseguiti dal Ris sul telefono del cameriere del resort Gabriele D’Angelo. Documenti considerati di particolare rilievo poiché proprio l’occultamento delle telefonate effettuate da D’Angelo, alla Prefettura e ad altre persone che si trovavano nel Coc di Penne, per chiedere l’invio dei soccorsi poche ore prima della valanga, ha dato il via all’inchiesta bis per depistaggio.

Ma tornando all’operato di Di Pietro, il giudice, nel decreto di archiviazione, sgombera il campo da qualsiasi ombra, chiarendo come «la condotta dell’indagato non palesi la volontà di omettere, ritardare od ostacolare le indagini». Lo dimostra ad esempio il fatto – mette in luce Bongrazio - che già nell’informativa del 4 febbraio 2017, pochi giorni dopo la tragedia, Di Pietro segnalò che D’Angelo aveva contattato telefonicamente un volontario della Croce Rossa di Penne affinché attivasse la Prefettura per inviare una turbina. «Sono stato il primo a riferire in Procura in merito alle chiamate in Prefettura – sottolinea il colonnello dei carabinieri – e anche per questo non mi spiego questo polverone, che per me è ancora motivo di grandi riflessioni».

Sempre il Gip rileva come Di Pietro, il 3 aprile del 2017, depositò una nuova informativa in Procura, insieme agli hard disk contenenti i dati recuperati dal telefono di D’Angelo. «Lì dentro c’era tutto e bastava che qualcuno li aprisse – osserva l’ormai ex indagato – mentre il cartaceo ci fu lasciato dalla Procura per poter assolvere alle deleghe che di volta in volta si resero necessarie». Della documentazione faceva parte anche l’annotazione del luogotenente dei carabinieri Tanzi, nella quale erano riportati gli sms e i messaggi whatsapp recuperati dal telefono di D’Angelo, ma non gli screenshot con le chiamate whatsapp. Al riguardo il Gip nota come Di Pietro in realtà avesse “fatto affidamento su una precedente comunicazione del Racis”, con la quale si informava la Procura dell’invio di verbali riguardanti attività tecniche compiute anche sul cellulare di D’Angelo, attraverso allegati che in realtà non furono mai trasmessi.

«Con quel mancato invio – conferma il colonnello dei carabinieri, nel frattempo trasferito nelle Marche – ci ha messo del suo anche il Racis». Nessuna ombra, dunque, sull’operato di Di Pietro, che ora però vuole togliersi qualche sassolino dalle scarpe. «Sia chiaro che non ho nulla contro Feniello, per il quale nutro anzi la massima stima e che considero una ulteriore vittima di questo sistema – spiega – ma ci sono diverse figure che hanno manovrato dietro le quinte e che potrebbero avere contribuito a creare questa situazione spiacevole, rispetto alla quale mi riservo di tutelarmi nelle sedi opportune». A seguire, dopo i ringraziamenti “alla Procura e al Gip per la correttezza, e alle tante persone che mi sono state vicine”, una dichiarazione di “stima incondizionata nei confronti dei tre colleghi della forestale”, indagati e successivamente archiviati nell’ambito di un’altra inchiesta riguardante gli stessi aspetti delle indagini su Rigopiano.
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