Pescara Calcio, Sansovini 40 anni da "sindaco"

Marco Sansovini, 40 anni mercoledì, brinda al Pescara in serie A nel 2012
di Orlando D'Angelo
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Martedì 16 Giugno 2020, 08:54 - Ultimo aggiornamento: 09:46
I 40 anni del Sindaco. Domani Marco Sansovini spegnerà le sue prime 40 candeline. Il giocatore simbolo di una generazione di tifosi, protagonista assoluto a cavallo di due epoche, pre e post fallimento, arrivato nel 2007 da carneade in cerca di una svolta, calcistica e di vita, e diventato il terzo bomber di tutti i tempi della storia del Pescara con 54 reti.

Arriva a 40 anni da calciatore in attività, un bel traguardo.
«Non pensavo di riuscirci, ma lo speravo. Ce l’ho fatta, da giocatore integro, anche se la condizione generale è diversa da quella di dieci anni fa. E mi sono divertito tanto con il Notaresco. Mi sono trovato bene con l’ambiente, la società e i ragazzi. Alla mia età, queste sono le cose che contano. Purtroppo l’anno è stato troncato a metà. Ed è rimasto l’amaro in bocca, a livello personale e di squadra».

A quest’età si fanno i primi bilanci di vita.
«Il mio è molto positivo. Avevo iniziato con tre infortuni molto gravi: a 20 anni ho subito due rotture del crociato e una del menisco. Le premesse non erano per niente buone, invece sono riuscito a fare il professionista per vent’anni, a buoni livelli e togliendomi tante soddisfazioni».

Dopo le giovanili, gli infortuni e qualche stagione altalenante, l’arrivo – casuale – a Pescara a 27 anni, dove trova l’Eldorado.
«L’apice e la svolta della mia carriera. Venivo da qualche annata buona, ma niente di che. Quel primo anno a Pescara con Lerda in panchina mi ha dato la spinta definitiva. Ero fuori rosa a Grosseto e mi ero messo d’accordo per andare in C2 a Giulianova, era tutto fatto. Il giorno prima di firmare, il mio procuratore mi propone di venire a Pescara per fare la C1. Sapevo che non c’era una società solida, anzi. Ma non ho pensato ai soldi, ma solo alla maglia importante che avrei potuto indossare, e alla categoria: ho investito su me stesso».



Il primo gol non si scorda mai.
«Sono arrivato a fine mercato e il campionato era già iniziato. Dopo un punto nelle prime tre partite, all’Adriatico contro la Samb sono finalmente in panchina. Nel finale, entro e segno, sotto la nord, all’ultimo minuto (in foto). E lì che inizia tutto (alla fine segnerà 16 gol, ndc). E di quella squadra ho un gran bel ricordo: dovevamo solo salvarci, invece diventammo forti e compatti. Per un punto di penalizzazione non entrammo nei play-off. Sono ancora convinto che, se fossimo andati agli spareggi, avremmo potuto vincere il campionato… Per fortuna ci sono riuscito nel 2010 con Di Francesco (in foto con Zanon e Vitale)».



La promozione in A del 2012, da capitano, è la vetta della sua storia.
«Con Zeman ho toccato il punto più alto della mia carriera. Voleva che giocassi esterno nel tridente e non lo facevo bene. Per niente, o almeno non come diceva lui. Mi rendevo conto, tanto che in un’amichevole estiva a Città Sant’Angelo toccai un pallone in 90’. Pensai che forse non avrei potuto farlo e stavo pensando di andare via. Ma il boemo aveva sempre valorizzato tutti i suoi attaccanti, perché non avrebbe dovuto farlo con me? E restai. Una seconda scommessa su me stesso. Mi dissi: “Stai qui fino a gennaio, resetta, ascolta ed esegui”. Ed è andata bene (16 gol con il boemo, ndc)».



Un rimpianto c’è: la serie A mai disputata.
«Sì. Avrei potuto forzare la mano e restare dopo la promozione, ma con Abbruscato, Celik, Vukusic e Jonathas rischiavo di restare fuori a guardare, tra panchina e tribuna. Solo dopo si è capito invece che avrei potuto avere molte chance di giocare in quella stagione…».

Il gol che gli è rimasto scolpito nel cuore.
«A Gubbio, con Zeman (28 aprile 2012, ndc). Era una giornata difficile. Prendemmo preso sei, sette pali, la palla non entrava. Sbloccarla, a dieci minuti dalla fine, è stato fondamentale. Ho calciato con tutta la rabbia che avevo».

A Pescara è diventato un idolo. Per tutti è il Sindaco.
«Non me lo sarei mai aspettato. Sono un tipo tranquillo e a volte anche schivo, non vado a cercare amicizie per forza. Questo dà ancora più valore al legame che si è creato, perché significa che è affetto vero, ed è contraccambiato. Mi sono trasferito qui con la famiglia, perché tutti noi ci siamo legati alla città: è la nostra casa».
 
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