Maxi discarica dei veleni, le carte
della difesa: «Da Bussi acqua sempre potabile»

L'avvocato Carlo Sassi
di Stefano Dascoli
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Martedì 31 Gennaio 2017, 09:31
L'AQUILA - Potrebbe slittare ancora la sentenza di secondo grado nel processo sulla maxi discarica dei veleni di Bussi, forse addirittura a metà mese. Lo si stabilirà nei prossimi giorni. Ieri, non senza qualche tensione, in Corte d'Assise d'Appello, all'Aquila, si è tenuta una nuova udienza tutta dedicata alle difese. Il legale Carlo Sassi, difensore di quattro imputati (Nicola Sabatini, Carlo Vassallo, Nazzareno Santini e Leonardo Capogrosso) ha nuovamente stuzzicato l'avvocatura dello Stato (presente in aula in quel momento l'avvocato Di Leo), tanto da essere richiamato dal presidente della Corte, Luigi Catelli. Un duello, nei canoni di una vivace dialettica processuale, su alcune perizie non agli atti del dibattimento.

Sassi, dati alla mano, ha sostenuto l'insussistenza delle accuse rivolte agli ex direttori dello stabilimento e a Capogrosso, coordinatore dei responsabili dei servizi Pas degli stabilimenti facenti capo a Montedison. In particolare in aula ha ribadito con forza alcuni concetti chiave: la causa della contaminazione del Campo Pozzi non è ascrivibile alle discariche nord, né allo stabilimento (peraltro non indicato come tale nel campo di imputazione); la causa è individuata dall'accusa pubblica e privata nella discarica Tre Monti; nessuno degli imputati ne conosceva l'esistenza. Poi il legale, con dovizia di particolari, ha sostenuto che le analisi dal 1992 al 2007 hanno evidenziato che l'acqua è sempre stata potabile. «Il Campo pozzi Sant'Angelo - ha esordito - è sparito dall'accusa. E' un fatto sorprendente, visto che tutta l'indagine ruota attorno ai pozzi. Perché è sparito? Perché l'acqua è sempre stata potabile. E può essere avvelenata un'acqua che è sempre stata potabile? L'attenzione allora è stata spostata su due aspetti: si sostiene che tutta l'acqua che scorre è destinata al consumo umano e lo si fa con leggi diverse da quelle sulla potabilità delle acque».

Anche sulla fattispecie di reato il legale è stato perentorio: «L'avvelenamento doloso è gravissimo e rarissimo e prevede una pena pazzesca, un minimo di 15 anni, comparabile solo alla strage. Mai in Italia c'è stata una condanna per avvelenamento doloso in un contesto lecito come quello industriale». Per quanto concerne le analisi, Sassi ha detto che «i valori degli anni '90 sono in linea persino con la normativa entrata in vigore dieci anni dopo». «E' difficile in questo modo sostenere accuse terribili» ha chiosato. Tra tutte le analisi post '92 «solo una piccola percentuale ha sforato di pochissimo i limiti, per giunta su dati che aggregano i composti». Per di più i valori indicati dall'Organizzazione mondiale della sanità (Oms) come limite accettabile sono addirittura dieci volte superiori a quelli previsti dalla normativa italiana. «Questa è una condotta equivalente a quella di chi lascia una bomba in una piazza affollata?» ha tuonato il legale. Dopo di lui hanno parlato Francesco Centonze, in difesa di Mauro Molinari. A lui vengono contestate, secondo l'avvocato in chiave generica, una relazione e la partecipazione a una riunione: «Perché dovrebbero essere causali rispetto al disastro?». E poi, infine, Tommaso Marchese, in rappresentanza Giuseppe Quaglia. Oggi nuovo round.

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