Baby gang dell’Aquila come i boss di camorra. «Spaccia per noi o muori»

Colpita l’organizzazione che terrorizzava le scuole e il centro storico: tredici arresti

Baby gang dell’Aquila come i boss di camorra. «Spaccia per noi o muori»
di Stefano Dascoli (ha collaborato Marcello Ianni)
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Mercoledì 7 Settembre 2022, 00:17 - Ultimo aggiornamento: 10:21

C’è un “boss”, che gli inquirenti definiscono “riferimento” dell’organizzazione. Il leader, insomma. Ci sono gli “affiliati”, gli scagnozzi deputati al lavoro sporco: spaccio e recupero dei crediti dai clienti. Ci sono persino i “pentiti”, coloro che hanno trovato la forza di uscire dal giro e tratteggiarne i contorni agli investigatori. Descritta così, questa “Gomorra” in salsa aquilana fatta di minacce, violenze, droga smerciata a scuola, sugli autobus, in casa, sembrerebbe la solita organizzazione criminale, magari anche un po’ goffa se è vero che uno dei componenti rivela senza indugio, al telefono, di aver fatto «impicci con il computer» per evitare di essere intercettato. 

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E invece no, dietro le 13 misure cautelari eseguite ieri da Squadra mobile e Compagnia carabinieri dell’Aquila, su ordine del Giudice per le indagini preliminari del tribunale per i minorenni, Cristina Tettamanti, si schiude uno spaccato inquietante, una baby gang che fa il salto di qualità agendo con i metodi di una cosca, mettendo a ferro e fuoco il centro storico da poco ricostruito dopo il sisma tra risse e scorribande, riducendo ragazzini in schiavitù, lottando per il controllo, se così si può definire, del mercato dello spaccio delle droghe leggere tra gli studenti.

Un fenomeno vero e proprio, che all’Aquila ha assunto i contorni di un’emergenza sociale.

Il giudice, infatti, descrive le condotte «plurali e gravi» e definisce «allarmante» la presenza di gruppi di giovani nel contesto cittadino, per lo più albanesi e nordafricani, «tra loro in contrasto, ma ognuno caratterizzato dall’unitario scopo dello smercio di stupefacenti e dell’uso della violenza come mezzo di affermazione, di conquista dell’egemonia necessaria a farsi rispettare e a far rispettare il pagamento degli stupefacenti ceduti a credito». Con la popolazione ormai «inerme spettatrice di risse e azioni violente» e il rischio concreto di una escalation motivato da frequenza degli episodi, interessi economici in ballo e fragilità dei soggetti coinvolti, spesso non integrati o addirittura ospiti di comunità di accoglienza. 

IL SISTEMA

Per queste ragioni sono finiti in carcere A.D., il leader dell’organizzazione, kosovaro di appena 19 anni, minorenne all’epoca di molti dei reati contestati; con lui D.B., 19 anni, K.O, 19 anni, G.L., 18 anni, C.F., 17 anni, A.P., 18 anni. Stranieri, ma anche italiani, a conferma del fatto che ai gruppi egemoni - questi sì, balcanici o nordafricani -, si sono agganciati soggetti locali. Altri 7 sono stati invece collocati in comunità: il più piccolo ha 16 anni, il più grande 18. 

C’è anche chi dal giro è uscito, non senza conseguenze. È il caso di un ragazzo minore che è stato costretto a commettere attività illecite, a spacciare, ma anche ad aggredire e minacciare alcuni clienti. Ha avuto la forza di denunciare nonostante gli “avvertimenti” - su Instagram riceveva anche video e foto di armi da fuoco - e ha deciso di cambiare città dopo «ripetuti accessi» al Pronto soccorso, visite che hanno accertato crisi convulsive acute, gravi disturbi depressivi, disturbi da stress post traumatico, ansia, attacchi di panico, flashback, «pensieri ricorrenti e intrusivi», «ideazione suicidaria». Una personalità, insomma, ormai fortemente compromessa.

IL MECCANISMO

Gli episodi oggetto dell’inchiesta hanno quasi tutti la stessa matrice. Spaccio di droga, per lo più hashish e marjuana (ma anche il “concentrato”, il cosiddetto “Dry Sift Base”), in piccoli quantitativi, davanti alle scuole o più spesso nel centro storico, anche in abitazioni private e persino sugli autobus per portano agli istituti. E poi vere e proprie spedizioni punitive, armi da taglio alla mano, anche per debiti irrisori, 50 o 60 euro. E così al Pronto soccorso sono finiti ragazzi con traumi cranici, ferite da taglio, lacerazioni occipitali, fratture a mani e gambe. 

Il leader del gruppo era già stato coinvolto in episodi di lesioni e percosse. Suo padre è ai domiciliari per associazione finalizzata allo spaccio. Uno dei minori è sotto indagine per violenza sessuale. Il procuratore, David Mancini, ha detto che le misure restrittive erano necessarie per la gravità dei fatti, ma che l’obiettivo primario deve essere il reinserimento sociale. Il sindaco Pierluigi Biondi ha tirato un sospiro di sollievo, ringraziando le forze dell’ordine: l’allarme, ormai, aveva superato i livelli di guardia.
 

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