Bertolaso, in mille per il gran ritorno: «Cialente e Pezzopane amici, ma si sono fatti belli con me. La Stati? Rifarei la telefonata»

Bertolaso, in mille per il gran ritorno: «Cialente e Pezzopane amici, ma si sono fatti belli con me. La Stati? Rifarei la telefonata»
di Stefano Dascoli
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Venerdì 2 Marzo 2018, 20:34 - Ultimo aggiornamento: 20:43

L'AQUILA - «Questa è L’Aquila». Guido Bertolaso indica la felpa neroverde che indossa: davanti lo stemma dell’Aquila rugby, dietro il rosone di Collemaggio. «Questa è L’Aquila» avrà pensato nel vedere le mille persone stipate nella sala dell’Arcobaleno, che è lontana dal centro storico e non è uno dei “miracoli” a sua firma. Qui, a sfidare pioggia, vento e una coda interminabile, «c’è L’Aquila che ti vuole bene» dice l’emozionato vice sindaco Guido Liris. Qui c’è «la carica dei mille», come la chiama Nazario Pagano, quella che non ha mai abbandonato la narrazione del Super Guido, dell’eroe, della presenza salvifica. Qui, stasera, il terremoto si intreccia pericolosamente con la politica, ma non c’è nessuno che protesta.

E’ l’evento di chiusura della campagna elettorale di Forza Italia. Ma è anche il «Guido is back», il gran ritorno, il primo ufficiale dopo l’epopea berlusconiana dell’emergenza post sisma e la riabilitazione seguita alle assoluzioni. «Noi oggi non siamo nessuno» dice addirittura Liris. E’ tutto un inneggiare, applaudire, glorificare. C’è persino chi piange. In tanti lo strattonano per avere anche solo un contatto. A ricordare che è ancora campagna elettorale ci pensa un Nazario Pagano in grande spolvero, che veste i panni dello speaker e chiama sul palco tutti i candidati: la fiammeggiante Paola Pelino, Quagliariello, Martino, Del Corvo, Ettorre, lo stesso Liris. Ci sono tutti gli azzurri, e non solo. Ci sono Maurizio Brucchi e Gabriele De Angelis, ma anche Giovannelli e Barattelli di Federalberghi e Ance. E, soprattutto, in prima fila c’è anche il generale Fabrizio Lisi, a cui si deve la messa a disposizione della scuola sottufficiali di Coppito dopo il 6 aprile.

«Sono cittadino aquilano!» dice trionfalmente Bertolaso. Che è qui per «lanciare un messaggio di speranza: mettete la croce sul segno giusto domenica». Ma, forse, è soprattutto qui per riconciliarsi e, chissà, magari godersi anche una standing ovation rimasta sospesa dopo la gran cesura e i veleni: «Non mi sono mai nascosto, sono venuto pochissimo solo per rispetto dei cittadini aquilani. E’ giusto espormi ora che sono un cittadino normale. Tornerò qui anche nei prossimi giorni. Il 7 di marzo mangerò una pizza con un amico che aprirà un locale e torna da Philadelphia, poi visiterò lo studio di Roberto Grillo».
 

 

«Ricordatevi – dice indicando il rosone- che la basilica di Collemaggio l’abbiamo riaperta a Natale 2009, facendo salti mortali. Poi è stata restaurata e, mi dicono, ora è meravigliosa: ovviamente nessuno mi ha invitato alla cerimonia di riapertura, ma sono sereno perché non nutro nessun rancore». Neanche nei confronti di Cialente e Pezzopane e dei loro ultimi strali: «Sono due amici, hanno condiviso con me decine di inaugurazioni, di gioie e dolori, si sono fatti anche belli. Stefania mi consegnò anche il Guerriero di Capestrano: è ancora lì, non se lo sono ripreso».

Sul tappeto resta, e non c’è affatto da scherzarci su stavota, il dolore dei parenti delle vittime. «Voglio bene a tutti – risponde – L’Aquila è la metafora dell’Italia: c’è la metà che vuole bene e la metà che critica». E la telefonata alla Stati? «La rifarei subito, dicendo le stesse parole. Lei aveva scritto che non ci sarebbero stati più terremoti, era mio dovere fargli il cazziatone».

C’è spazio anche per le critiche alla Raggi fuggita in Messico sotto Buran, e alla gestione del post Amatrice. Liris dice che è un «delitto non avergli dato la cittadinanza onoraria e che questo è il giorno delle scuse». La Pelino lo vede già Ministro («L’ultima volta che l’ha detto Berlusconi mi hanno fatto fuori»). Quagliariello sostiene che «è stata riscritta una verità tradita». Del Corvo quasi grida che è «innammisibile aver chiuso le porte della città a lui e Berlusconi dopo tutto quello che hanno fatto». Lui, super Guido, si schermisce: «Qui abbiamo fatto solo il nostro dovere, non servono scuse».
 

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