Anna violentata e lasciata morire: condanne confermate

Anna violentata e lasciata morire: condanne confermate
di Stefano Buda
3 Minuti di Lettura
Giovedì 9 Giugno 2022, 08:53

Nessuno sconto di pena per Nelu Ciuraru e Robert Ciorogariu, i due senzatetto condannati, con sentenza confermata in appello, nel processo sulla morte di Anna Carlini. La donna, 33enne pescarese con problemi psichici, fu violentata la notte del 29 agosto 2017 lungo uno dei tunnel della stazione e rinvenuta priva di vita la mattina successiva. La Cassazione, in linea con la richiesta della Procura generale, ha rigettato i ricorsi presentati da Ciuraru, tramite l’avvocato Leone Di Giannantonio e da Ciorogariu, assistito dall’avvocato Stefano Sassano. Il primo dovrà dunque scontare 11 anni e mezzo di carcere per violenza sessuale e omissione di soccorso aggravata, mentre Ciorogariu è stato condannato a 2 anni di reclusione, unicamente in riferimento al secondo reato.

Sulla base di quanto emerso nel corso del processo, Anna fu abbordata dai due imputati nei pressi della stazione e indotta a bere del vino. La reazione ai farmaci, che la donna assumeva abitualmente, fu la perdita del controllo. Ciuraru e Cioragariu ne approfittarono, conducendola nel tunnel, dove il primo spinse Anna per terra, su un giaciglio di fortuna, violentandola barbaramente. La vittima, incapace di reagire, fu lasciata agonizzante per ore. Fino al mattino successivo, quando fu rinvenuto il suo corpo privo di vita.

Le difese, davanti alla Corte, hanno puntato innanzitutto sulla presunta inutilizzabilità delle dichiarazioni rese dal testimone chiave. Dichiarazioni che, nel corso del giudizio, acquisirono ulteriore rilievo alla luce della parziale inutilizzabilità dell’incidente probatorio. Di Giannantonio e Sassano hanno infatti sostenuto che anche al testimone chiave, che si trovava nel tunnel e raccontò di avere assistito a buona parte dei fatti, la Procura avrebbe dovuto contestare l’omissione di soccorso.

Ciò non fu fatto e dunque – hanno affermato i due legali – non sarebbe stata osservata la norma processuale che avrebbe comportato “l’inutilizzabilità delle dichiarazioni rese in sede predibattimentale”, poiché il testimone “doveva essere sentito, sin dall’inizio, in qualità di imputato o indagato”.

Di Giannantonio ha inoltre lamentato che lo stesso testimone rese una testimonianza de relato sulla violenza sessuale, ma il tribunale non ritenne necessario ascoltarlo. Inoltre ha evocato presunte irregolarità procedurali negli accertamenti compiuti sul Dna dell’imputato e ha contestato la mancata concessione di una nuova consulenza tecnica. Sia Di Giannantonio che Sassano hanno poi denunciato “la contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, laddove si cerca di dare certezza giuridica ai fatti descritti nel capo d’imputazione attraverso l’utilizzo di prove dichiarate nulle”. A giudizio dei due legali, infatti, senza le risultanze dell’incidente probatorio le altre prove non avrebbero raggiunto un sufficiente grado di certezza. Infine l’avvocato Sassano ha argomentato che “la volontà di Ciorogariu di assistere la vittima risulta evidente” e che l’imputato è soltanto incorso “nell’errore dell’elezione delle modalità di soccorso pur poste in essere”, a causa del “minimo spessore culturale” di cui è dotato e del fatto che aveva assunto “sostanze alcoliche nei minuti precedenti”. I familiari della vittima, assistiti dall’avvocato Carlo Corradi, hanno espresso soddisfazione per la decisione della Corte. 

© RIPRODUZIONE RISERVATA