Una condanna che va oltre i 3 anni che aveva chiesto il pm Salvatore Campochiaro al termine della requisitoria. Una condanna che va a sommarsi con quella che, molto velocemente, aveva emesso il tribunale ecclesiastico che condannò don Vito a una pena perpetua, e cioè al divieto di svolgere attività parrocchiali con i minorenni, e a pene temporanee come la sospensione per 3 anni dal ministero sacerdotale, oltre a 5 anni di obbligo di dimora in un monastero di Roma, al fine di condurre "una vita di preghiera e di penitenza", seguendo anche un percorso psicoterapeutico. Non è passata dunque la linea difensiva sostenuta dall'avvocato Giuliano Mila e dalla collega Teresa Pierfelice che avevano sostenuto l'inattendibilità delle dichiarazioni della vittima, sollecitando poi il tribunale a prendere in considerazione il principio del "ne bis in idem", proprio in relazione alla condanna subita dall'imputato dopo il processo canonico. A denunciare i fatti, prima alla Curia che con l'arcivescovo Tommaso Valentinetti si attivò subito, e poi alla polizia, furono i genitori del ragazzo che frequentava molto spesso la parrocchia e l'abitazione del parroco. Gli abusi contestati sarebbero stati compiuti proprio a casa del parroco. Incontri a sfondo sessuale, senza però nessuna costrizione fisica della vittima, ma che nel ragazzo avrebbero provocato, anche a distanza di anni, una sorta di crisi di identità e di grande turbamento. L'imputato, secondo quanto ha stabilito il tribunale di Pescara, dovrà pagare alle parti civili costituite e rappresentate dall'avvocato Vincenzo Di Girolamo, una provvisionale di 30 mila euro al ragazzo, e di 10 mila euro a testa alla madre e alla sorella della vittima degli abusi.
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