GLI INVESTIMENTI
Oggi la scienza si è invece familiarizzata con le cosiddette “Laws” (Lethal autonomous weapons system), sistemi d’arma più comunemente noti come “Robot killer”. Che cosa sono i Robot killer? Sono robot programmati per agire autonomamente durante una missione militare: macchine, cioè, in grado di prendere da sole la decisione di uccidere. Non come i droni, che per essere attivati hanno bisogno di un uomo che schiacci il bottone; i Robot killer non hanno bisogno della presenza umana, fanno da sé. Forse non è abbastanza noto, ma la ricerca in materia di Robot killer è già molto avanzata. Dal 2001 gli Usa hanno investito sugli armamenti automatici qualcosa come 18 miliardi di dollari e sono una cinquantina i Paesi che contemplano programmi militari per le armi automatiche.
I PROTOTIPI
Alcune Nazioni vedono già schierati sul campo i Robot killer. La Corea del Sud, per esempio, ha installato lungo la linea del confine con la Corea del Nord dei robot sentinella in grado di fare fuoco sugli intrusi; Israele ha creato delle “zone di uccisione automatica” al confine con la Striscia di Gaza. Gli Stati Uniti hanno già battezzato Atlas, robot umanoide in grado perfino di impugnare una pistola e premere il grilletto. E la Bae System britannica ha realizzato “Taranis”, drone autonomo capace di compiere missioni intercontinentali a velocità superiore a quella del suono, senza essere visto dai radar e quasi completamente privo di coordinate impostate dall’uomo. Fa rabbrividire tuttavia il pensiero che armi del genere possano cadere in mano ai terroristi: immaginiamo che cosa accadrebbe se i Robot killer venissero programmati per attaccare e uccidere qualunque civile si trovassero davanti.
LA CONVENZIONE ONU
Ma l’opinione pubblica e la comunità scientifica internazionali hanno chiesto una pausa di riflessione sullo sviluppo di questi armamenti. E nel maggio scorso, a Ginevra, alla Convenzione Onu sulle Armi convenzionali, 87 Paesi (tra cui l’Italia) sui 117 aderenti, hanno dibattuto sulla questione. Da una parte ci sono le posizioni delle Organizzazioni dei Diritti umani e del premio Nobel per la Pace 1997 Jody Williams, favorevoli alla soppressione dei Robot killer; dall’altra c’è la posizione dei Paesi che si dimostrano interessati alle teorie di Ronald Arkin, professore di robotica al Georgia Institute of Technology, il quale preme per una moratoria in attesa di regole internazionali sulle armi automatiche dicendosi persuaso che «affidare gli interventi militari ai robot killer può servire a ridurre significativamente le vittime umane di incidenti».
IL PENTAGONO
Nella seconda sessione della Convenzione di Ginevra, il 14 novembre scorso, non si è ancora deciso nulla rinviando la discussione al prossimo appuntamento, previsto nell’aprile 2015. La “decisione di non decidere” è l’atteggiamento più temuto dalle Organizzazioni per i Diritti umani. «La tecnologia infatti si muove più velocemente della risposta internazionale», ha detto Mary Wareham, coordinatrice della campagna “Stop ai Robot killer”. Intanto, significativamente, due giorni prima dell’ultima sessione di Ginevra, il New York Times ha ospitato un articolo in prima pagina abbastanza favorevole all’utilizzo dei Robot killer. Qualcuno vi ha visto una prima presa di posizione non ufficiale del Pentagono.
IN ITALIA
«D’altronde è noto che gli americani sono ossessionati dal concetto di “perdite zero” di vite umane nelle guerre», afferma Fabrizio Battistelli, professore di Sociologia alla Sapienza e direttore dell’Archivio Disarmo. «Gli Usa - continua - sono favorevoli ai Robot killer perché così le guerre le fanno fare alle macchine e non agli uomini.
In Italia, invece, si tende a nascondere il problema sotto il materasso. Si creano commissioni di esperti sul fine-vita e sugli esami genetici ma dei Robot killer finora è come se non si avvertisse l’esigenza etica di parlarne».
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