La barista romena che ha ucciso il rapinatore: «E' stata legittima difesa ma ora non vivo più»

La barista rumena Alina Racu
di Giulio Mancini
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Sabato 22 Febbraio 2014, 08:53 - Ultimo aggiornamento: 15:55

La mia vita si fermata una settimana fa. Ho smesso di respirare quando mi sono vista puntare la pistola in faccia. Da allora non dormo e ho il terrore di uscire da casa». Per Alina Racu, la barista romena dell’Isola Sacra che ha ucciso con una coltellata il rapinatore, l’incubo non ha fine.

E’ la prima volta che parla. Il 13 febbraio ha accoltellato Manuel Musso, 29 anni. Il magistrato che indaga sulla vicenda e che l’ha formalmente accusata di omicidio volontario con l’attenuante della legittima difesa, non l’ha ancora interrogata. E forse anche per questo motivo la donna, assistita dall’avvocato Massimiliano Gabrielli, non riesce ancora a ricostruire nel dettaglio quei terribili istanti. E’ come se l’ossessione per il terribile epilogo abbia cancellato dalla sua mente i singoli fotogrammi. Capelli castani lunghi e raccolti, 38 anni, sguardo abbassato mentre si tormenta le mani grandi, da lavoratrice instancabile, Alina cerca di lasciarsi andare. Occhi gonfi e arrossati non solo dalle lacrime ma anche dallo strazio di notti senza sonno, prova a rispondere.

Cosa ricorda di quei momenti?

«Lui sparava, aveva in mano la pistola e io pensavo solo a bloccarlo. Io volevo difendermi, non volevo uccidere. Mi sembrava di vivere un incubo terribile, come se in quell’istante non fossi io. Ero disperata e non mi sono neanche accorta di essere riuscita ad afferrare il coltello e di averlo colpito».

Da 11 anni vive e lavora in Italia. Le era mai capitato prima di subire una rapina?

«No, non m’era mai successo e ho reagito istintivamente. In quel momento ho avuto un flash: ho pensato a mia figlia, a mio marito, ai sacrifici che abbiamo fatto per lavorare e vivere in una casa dignitosa».

Uccidere un uomo è un’esperienza drammatica. Cosa sente nella sua coscienza?

«Sono dispiaciuta per quel ragazzo ma anche a me il cuore si è fermato da quel momento. Mi ritorna sempre in mente quello che è successo e provo un dolore profondo. Da allora mi sono praticamente chiusa in casa, non sono tornata a lavorare, guardo mia figlia e scoppio a piangere. E ho tanta paura. Se devo uscire, mi guardo sempre intorno, il cuore mi scoppia se vedo una macchina che somiglia a quel Doblò o sento l’accelerazione di una moto».

Ripeterebbe ciò che ha fatto?

«Mi sono solo difesa, che dovevo fare?».

Rischia di essere processata per omicidio e a quest’ipotesi Fiumicino ha risposto generosamente: assicurandole la tutela legale, attivando le ronde contro la microcriminalità e persino inviandole lettere di solidarietà. Se lo aspettava?

«No, non mi aspettavo questa ondata di amicizia e sono commossa. Avrei fatto volentieri a meno di questa notorietà. Con mio marito siamo persone semplici e pensiamo solo a lavorare e ad essere onesti. Invece, adesso anche mia figlia sa quello che è successo».

Se ne andrà dall’Italia?

«No, non vogliamo tornare in Romania: ormai Fiumicino è la nostra casa, è qui che ci siamo creati un modo decente di vivere». L’avvocato Gabrielli ha annunciato che la strategia legale si baserà sulla legittima difesa in ambito domiciliare, riferendosi alla legge che elimina l’eccesso colposo e quindi la proporzionalità tra l’aggressione e l’entità della reazione.

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