Indimenticabile quella fotografia scattata il giorno della firma della dichiarazione congiunta sotto le chiavi decussate d’Oltretevere, nella sala stampa vaticana, dove era stato presentato il documento. Mostrava un imam, un anglicano, monsignor Sorondo e il miliardario australiano, tutti con la mano tesa, come dei moschettieri. A seguito di quella dichiarazione era anche intervenuto il Papa lodando l’iniziativa e ospitando un convegno internazionale all’interno del piccolo stato pontificio.
Tutto questo avveniva non più di cinque mesi fa. I problemi sono sorti poco dopo, quando in Vaticano si sono accorti che la figura del Papa veniva utilizzata dal miliardario come grimaldello internazionale. «Sì è vero, la Santa Sede si è ritirata». Monsignor Sorondo non vuole fomentare polemiche, tuttavia ci tiene a precisare che tante cose non sono andate per il verso giusto. «C’era il rischio di essere strumentalizzati. Naturalmente un uomo di affari ha tutto il diritto di fare business, ma non utilizzando Papa Francesco». Il magnate australiano Andrew Forrest che ha costruito un impero nel settore minerario, pare non l’abbia presa molto bene. La notizia è circolata tramite una televisione australiana e, successivamente, confermata a Roma.
Nel corso della Giornata internazionale per l’abolizione della schiavitù, i leader religiosi avevano firmato una dichiarazione congiunta in cui si afferma che le varie forme di schiavitù moderna, come la tratta di esseri umani, il lavoro forzato e la prostituzione, il traffico di organi e qualsiasi altra pratica contraria ai concetti fondamentali di uguaglianza, libertà e pari dignità della persona, debbano essere considerati crimine contro l’umanità e riconosciuti come tali da ogni essere umano e nazione. Un impegno comune chiesto a ogni credo religioso.
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