Renzi: basta sacrifici e nuove tasse. Intercettazioni, interverremo

Matteo Renzi
di Barbara Jerkov
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Domenica 5 Aprile 2015, 06:26 - Ultimo aggiornamento: 6 Aprile, 11:55

Cosa ci riserva il Def che il Cdm varerà martedì prossimo, presidente Renzi? Un anno fa il governo prevedeva per il 2014 una crescita dello 0,4% e addirittura dell'1,3 per il 2015. E' andata che nel 2014 il pil in realtà è sceso dello 0,4 e per quest'anno avete rivisto le stime a un più modesto 0,7%. Un eccesso di "annuncite" degli esordi?

«L'anno scorso tutti gli esperti internazionali avevano fatto previsioni ottimistiche e poi abbiamo visto come è andata a finire. Noi eravamo stati in media, ma quest'anno abbiamo deciso di essere più prudenti e anche se in tanti prevedono una crescita superiore all'1%, abbiamo scelto di volare basso e stare allo 0,7%. Ma non è la percentuale che conta, i numeri interessano agli addetti ai lavori: la verità è che c'è un clima nuovo in Italia. E basta fare il pieno o chiedere un mutuo per capire che molto è cambiato. Dobbiamo continuare sulla strada delle riforme perché dopo tanti sacrifici, e gli italiani ne hanno fatto anche troppi ed è ora che li faccia la politica, ci siamo davvero».

Anche sui posti di lavoro nelle ultime settimane sono arrivati dati discordanti. Prima il governo ha annunciato 79mila contratti stabili in più tra gennaio e febbraio. Subito dopo Poletti ha parlato di 45mila contratti, precisando che per l'80% si tratta di stabilizzazioni di precari già esistenti. Come stanno le cose?

«I contratti stabili non sono dei numeri. Sono dei ragazzi che facevano i precari e si vedono trasformato il lavoro in un contratto a tutele crescenti: vanno in banca e ottengono un mutuo. Hanno le ferie. Per noi sono numeri, per loro è la vita, altro che storie. Poi ognuno legge le statistiche come crede. Personalmente mi fa tenerezza vedere come l'armata dei gufi si aggrappi esultante a qualche zero virgola negativo: il dato di fatto è che mai come in questo momento assumere conviene. Alla fine dell'anno vedremo se i risultati sono quelli che speravamo o no».

Un'altra novità a cui il suo governo ha dato grande importanza sono gli 80 euro in più in busta paga per i redditi bassi. Secondo l'Istat però nel 2014 l'aumento dei consumi è stato pari a zero. Continua a difendere questa misura? Verrà confermata?

«Gli 80 euro al mese per chi sta sotto i 1.500 euro sono innanzitutto giustizia sociale. Lei ricorderà che abbiamo fatto questa manovra proprio mentre mettevamo il tetto ai supermanager pubblici. Perché di questo si trattava: un piccolo gesto di restituzione. Poi se la maestra che prendeva 1.300 euro e adesso ne prende 1.380 o l'operaio che è passato da 1.120 a 1.200 euro, hanno deciso di mettere da parte quei soldi e non spenderli, perché così dormono più tranquilli la notte, io sono contento per loro. Non li critico perché quei soldi li meritano ed è giusto che ne facciano ciò che vogliono. Secondo le associazioni di categoria – non secondo il governo – da due trimestri i consumi sono ripartiti. Ma chiariamoci: per far spendere di nuovo gli italiani, occorre la fiducia. In due anni i risparmi privati sono passati da 3.500 miliardi a 3.900 miliardi, segno che gli italiani sono stati terrorizzati, dall'economia e anche dalla politica. Restituire fiducia sul fatto che siamo un grande Paese, più forte delle critiche, è nostro compito ed è l'unico modo per rilanciare i consumi. Tutto il mio programma sta qui: restituire speranza all'Italia. Gli altri, da Salvini a Landini, da Grillo a Berlusconi scommettono sul fatto che le cose continuino ad andare male, noi lavoriamo per far ripartire il Paese. Loro puntano sulla rabbia, noi sulla speranza. Tutto qui».

Il governo è impegnato a reperire 10 miliardi di risparmi sulla spesa, per non far scattare l'aumento dell'Iva nel 2016. In quali aree vanno usate le forbici? E userete l'ampio materiale lasciato in eredità da Carlo Cottarelli?

«L'Iva nel 2016 non aumenterà. Credo che annulleremo le clausole di salvaguardia già con le misure contenute nel Def. Ma non esiste nel modo più categorico che ci sia aumento delle tasse. Con tutto il rispetto, non ho letto nelle carte di Cottarelli idee geniali: sono le solite cose che ci diciamo da decenni. Non vanno scritte, vanno fatte. Ma per farle occorre intelligenza. La riduzione delle partecipate non si fa dalla sera alla mattina ma con leggi serie per i Comuni e strumenti industriali e finanziari che supportino chi vuole investire sul serio sulle public utilities. Se ci saranno ulteriori risorse la priorità sarà per le famiglie e per rendere stabili gli incentivi alle imprese per assumere».

L'arrivo di Graziano Delrio alle Infrastrutture sembra qualcosa di più di un semplice avvicendamento tra ministri. Visto il suo legame con lui è come se cantieri e grandi opere balzassero in cima all'agenda di governo, o sbaglio?

«C'erano già, continueranno a esserci. Il quadro finanziario è quello che sappiamo: l'Europa ha fatto passi in avanti nella direzione della flessibilità ma non abbiamo i margini che servirebbero per una politica della crescita aggressiva: se volessimo tagliare 20 miliardi di tasse sul lavoro, il deficit andrebbe oltre il 4%. Dunque le infrastrutture pubbliche e private sono il nodo della ripartenza del Paese. Ma per farlo occorre sbloccare la burocrazia allucinante che fa di questo Paese una gigantesca mappa di incompiute. Non esistono libri dei sogni, ma opere da chiudere, presto e bene. Conosco Graziano, farà benissimo».

Noto però che il cantiere dell'Expo, a meno di un mese dal debutto, è ancora terribilmente indietro tanto che lo stesso Palazzo Italia non farà in tempo ad essere ultimato nonostante i costi, sia detto per inciso, siano lievitati da 63 a 92 milioni di euro.

«Non credo che Expo sia terribilmente indietro. Se guardiamo alla storia delle esposizioni universali sappiamo che tutte sono partite non al completo e la situazione non è drammatica come qualcuno racconta. Avrei preferito che Milano facesse eccezione ma per come abbiamo trovato la situazione dico che è un miracolo che questa Expo si faccia, grazie al contributo e al senso di responsabilità di tutti. Abbiamo rischiato l'osso del collo a mettere la faccia sull'Expo in quel momento: sono contento di averlo fatto e sono convinto che alla fine sarà un successo. Adesso il nostro compito è quello di garantire l'accoglienza dei venti milioni di visitatori e approfondire gli argomenti di discussione: perché l'Expo è una meravigliosa vetrina dell'Italia. Non permetteremo a nessuno di imbrattarla».

Molta responsabilità su ritardi e costi gonfiati ricade sicuramente sulla corruzione portata alla luce dalle inchieste di questi mesi. Va dato atto al suo governo di aver chiamato un magistrato come Cantone a disboscare questa giungla e di aver finalmente ottenuto il sì del Senato al ddl anticorruzione. Ora manca tutta la parte sulla trasparenza di partiti e fondazioni: a quando la legge che lei stesso ha annunciato?

«Il mio governo è il governo che ha sbloccato l'Anac di Cantone, che ha reintrodotto l'autoriciclaggio e il falso in bilancio, che ha approvato in prima lettura le nuove norme su prescrizione e aumento della pena sulla corruzione.

Su questo tema le chiacchiere stanno a zero: mi trovino un altro governo che in un anno ha fatto quello che abbiamo fatto noi. Detto questo, per combattere la corruzione bisogna disboscare le regole, semplificare il codice degli appalti, assicurare la trasparenza, ridurre i regolamenti. E sia chiaro: uno diventa colpevole quando viene condannato, non quando finisce sui giornali. Sto leggendo “Io non avevo l'avvocato” il libro di Mario Rossetti, il manager Fastweb condannato da inquirenti e media, tenuto in carcere senza motivo e poi prosciolto con tante scuse. Bene, noi abbiamo inasprito le pene. Ma per combattere la corruzione bisogna semplificare, non trasformarci in una repubblica di giustizialisti».

Le diverse inchieste - dal Mose a mafia capitale all'ultima di Ischia - hanno messo in luce il coinvolgimento delle cooperative rosse, un tempo il fiore all'occhiello dell'economia del Pd. Un sistema da ripensare, presidente?

«Le cooperative erano forse il fiore all'occhiello di qualche progenitore del Pd, non nostro. Noi abbiamo un sistema molto semplice: avendo abolito il finanziamento pubblico ai partiti, ci finanziamo con le cene e con le feste dell'Unità. Non siamo più la cinghia di trasmissione di nessuno. Ma detto questo non voglio che sia fatta di tutta l'erba un fascio. Ci sono cooperative con valori mutualistici meravigliosi e storie da brividi e altre cooperative che andrebbero processate per alto tradimento degli ideali della cooperazione. I giudici indaghino, valutino e per loro parlino le sentenze. Non butteremo mai via il bambino con l'acqua sporca: se qualcuno ha rubato, vada dentro chi ruba. Gridare che rubano tutti allo stesso modo serve solo ai ladri, perché alla fine loro non pagano mai. E io voglio che i ladri paghino tutto, fino all'ultimo giorno, fino all'ultimo centesimo».

Il Pd è stato direttamente colpito da molte di queste inchieste.

«Il Pd collabora nel modo più forte. Sono stato io a chiedere al sindaco di Venezia di lasciare, non perché indagato ma perché aveva patteggiato: dunque aveva confermato di essere colpevole. E abbiamo commissariato il Pd romano immediatamente: il lavoro che stanno svolgendo Orfini e i suoi è encomiabile, a partire dalla pulizia senza quartiere che stiamo facendo a Ostia, con Stefano Esposito. Abbiamo votato per l'arresto di qualche nostro deputato quando la magistratura lo ha chiesto: noi non guardiamo in faccia nessuno. Ma chiediamo soltanto – ad alta voce – che si distingua tra chi ruba e chi non ruba. Se in Italia esiste la corruzione, è bene che escano fuori i nomi dei colpevoli. Ma chi è colpevole lo decide una sentenza, non il titolista di un quotidiano».

D'Alema, chiamato in causa nell'inchiesta napoletana, ha chiesto norme che tutelino i non indagati e lo stesso garante della Privacy l'ha sollecitata a intervenire quanto prima sulle intercettazioni. Immagina un'accelerazione sul tema specifico degli ascolti?

«Le intercettazioni sono uno strumento molto utile: rinunciarvi sarebbe stupido e autolesionista. Ma il modo con il quale vengono diffuse da alcuni avvocati e alcuni magistrati, da alcuni addetti ai lavori e anche da alcuni media è francamente incredibile e inaccettabile. Siamo tutti d'accordo sulla necessità di intervenire con misure che non blocchino i magistrati e contemporaneamente consentano di soddisfare il sacrosanto diritto di cronaca. La soluzione è a portata di mano. Siamo la maggioranza che ha superato l'articolo 18, declassificato i segreti di Stato, introdotto la responsabilità civile, fatto ripartire il percorso costituzionale e istituzionale, messo fine alla guerra civile verbale destra sinistra, abbassato le tasse a chi guadagna meno di 1.500 euro e cancellato la parte lavoro dell'Irap, tutte cose attese da anni e non fatte da nessuno: toccherà a noi anche risolvere il nodo intercettazioni e non ci tireremo indietro».

Venendo alle riforme, presidente, sull'Italicum ormai ci siamo: il voto definitivo è tra meno di un mese. La sinistra del Pd ha messo in chiaro che o si cambia o non lo voterà. C'è chi come Speranza sta tentando una mediazione, l'impressione però è che lei a mediare non sia affatto interessato. A costo di perdere per strada un pezzo di Pd?

«Con tutto il rispetto, le modifiche si fanno se sono utili e se sono condivise. Il Porcellum ha resistito per quattro governi e tre legislature: tutti ne parlavano male, ma nessuno lo cambiava, neanche quando al governo ci siamo stati noi! Adesso che finalmente siamo a un passo dal traguardo perché dovremmo cambiare tutto? Io sono disponibile a mediare, sempre. Ma deve essere utile per il Paese, non per una corrente del partito. E soprattutto la mia impressione è che tornare indietro rispetto all'accordo di maggioranza di novembre farebbe scattare un bomba libero tutti. A due metri dal traguardo ci fermiamo come Dorando Petri? Per farci squalificare? Non saremmo in grado di spiegarlo a nessuno».

Bersani ha detto che se si parla di scissione è lei, in quanto segretario, a doversene far carico. Cosa gli risponde?

«Se qualcuno pensa di utilizzare una parola drammatica come scissione perché non è d'accordo su un dettaglio – peraltro secondario – di una legge elettorale che è la legge elettorale per la quale il Pd ha combattuto per anni, con ballottaggio, premio di maggioranza, norme antidiscriminatorie e collegi, non è un problema mio. Se qualcuno vuole andarsene per gravi dissensi sulla linea politica, parliamone. Ma voglio vederli andare nelle feste dell'Unità a spiegare che qualcuno se ne va perché i collegi erano 100 anziché 90 o 110».

Viste le tensioni sul territorio - penso al caso Liguria con il candidato di Civati che farà concorrenza a quello indicato dalle primarie, al caso Agrigento, a De Luca in Campania... - non sarà che fare sia il premier sia il segretario del partito si è rivelato più complicato di quanto credesse per riuscire a star dietro a tutto?

«Abbiamo preso questo partito che era al 25%. Lo abbiamo portato al 41%; abbiamo recuperato il Piemonte, la Calabria, l'Abruzzo, la Sardegna; siamo considerati un modello in Europa dove esprimiamo il capogruppo del Pse e l'Alto Rappresentante e basta leggere i giornali per capire che non si tratta di due figurine. So che qualcuno vorrebbe spaccare tutto, come fanno quei dirigenti del Pd che in Liguria lavorano contro la candidata del Pd per far vincere Toti. Ma noi andiamo avanti, a testa alta. Gli iscritti, i militanti, la base sono stanchi di minacce di scissioni e di polemiche. Se uno dice di voler bene alla ditta, le vuole bene anche quando è minoranza. Troppo facile farlo solo quando si è in maggioranza. La legge elettorale è stata cambiata anche grazie ai suggerimenti della minoranza: abbiamo già mediato molto, adesso si vota. Altrimenti si perde un'occasione storica di dare all'Italia un sistema che funziona. E si perde anche la faccia, il che è quasi più grave».

Ha anche da gestire il rapporto con gli alleati. Che fine ha fatto quel ministero per il Sud di cui si era parlato? Ncd la accusa di voler scegliere lei il nome del loro ministro: non è che dopo le regionali è in vista un ridisegno più complessivo dell'intera squadra, anche in base ai risultati elettorali?

«Questa storia che io entro nel dibattito interno di Ncd è una barzelletta. Sto lontano anche dal dibattito interno del mio partito, figuriamoci se mi interessa quello di un altro. Io sono pronto a discutere di tutto e voglio dare una mano a tutta la coalizione. Ma non mi permetterei mai di aprire bocca sulla dinamica interna di altri partiti. Certo, i nomi dei ministri li propone il presidente del Consiglio: ma questo non lo dico io, lo dice la Costituzione».

Per finire, presidente, il caso Roma. Il pd romano è davvero un «partito pericoloso», come l'ha definito Barca? Come risanarlo?

«E' pericoloso un partito che si addormenta sugli allori, che si adagia, che vivacchia. Il Pd romano oggi si sta rimettendo in piedi anche grazie al lavoro di persone come Barca. Dunque, no. Il pericolo di Roma non è il Pd, ma l'idea che si possa continuare ad andare avanti come si è sempre fatto. La stagione della rendita è finita anche per Roma. E in questo senso il Giubileo e la candidatura delle Olimpiadi sono due grandi opportunità».

Marino si dice pronto a tentare il bis. Ma si profilano le candidature di Marchini e Malagò. Come le valuta?

«Mi fa piacere che siate già sui nomi del toto-sindaco. Votando nel giugno del 2018 mi pare francamente prematuro. Nel frattempo in questo periodo Marchini continuerà a lavorare per la città nel ruolo che gli elettori hanno scelto per lui e Malagò sarà decisivo per provare a fare l'operazione Olimpiadi».

Giubileo, grande opportunità per Roma ma anche grande onere. Giusto che il Vaticano contribuisca alle spese?

«Con il Vaticano i rapporti sono ottimi, come abbiamo visto anche dalla firma dell'accordo sul fisco della settimana scorsa. Sinceramente per Roma e per l'Italia i costi del Giubileo sono inferiori rispetto al ritorno turistico ed economico che abbiamo, se dovessimo ragionare in termini d'euro. Dunque non è questo il punto. Vogliamo però collaborare con il Vaticano: non sarà il Giubileo delle grandi opere, come quello del 2000. Mi piacerebbe che fosse il Giubileo dei grandi ideali. E mi piacerebbe che la politica fosse in grado di spendere parole più forti per quell'autentico scandalo che è il martirio dei cristiani: le immagini di quei ragazzi kenyoti uccisi all'università non mi vanno via dalla mente. Come Pd ci faremo promotori di un'iniziativa anche a livello di Partito Socialista Europeo: su questi temi noto troppa timidezza. Per la seconda volta auguro buona Pasqua agli italiani da Palazzo Chigi. E quest'anno lo faccio ancora più convinto che il nostro Paese sia in grado di farcela. L'Italia è molto più forte di come viene tratteggiata dagli esperti internazionali ma soprattutto è molto più bella di come noi stessi la dipingiamo. C'è solo da continuare a crederci, lavorando con intensità ancora maggiore. E noi non ci fermiamo, glielo garantisco».