Il voto di Atene, la rigidità di Berlino preoccupa più di Syriza

di Romano Prodi
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Sabato 17 Gennaio 2015, 22:29 - Ultimo aggiornamento: 19 Gennaio, 10:22
Domenica prossima si svolgeranno le elezioni politiche in Grecia. In tempi normali sarebbe un semplice fatto di routine, anche perché la Grecia, Paese a noi vicino e a noi molto caro, non supera il 2% del Pil dell’Unione Europea. Dato però che non stiamo vivendo in tempi normali, sarà bene riflettere su quali grandi conseguenze queste elezioni avranno tanto sotto l’aspetto politico quanto sotto quello economico.



Il partito che, anche se con un margine non irresistibile, è in testa nei sondaggi, è frutto del nuovo movimento Syriza che, alimentato dalla gravissima e prolungata crisi del Paese, ha raccolto una crescente percentuale del voto popolare con una piattaforma quasi rivoluzionaria, sia in politica interna che in politica estera. Il contenuto fortemente progressista del programma di politica interna, che ha i suoi pilastri nella lotta all’evasione fiscale, in un maggiore peso della spesa sociale e in una politica di forte redistribuzione del reddito, è stato un poco ammorbidito ma, sostanzialmente, mantenuto durante tutta la campagna elettorale.



Un progressivo mutamento è avvenuto invece riguardo alla politica europea: la piattaforma presentata in un primo momento, che aveva trovato un comune obiettivo nell’uscita dall’euro, è stata con il tempo abbandonata, non senza la necessità di una certa dose di capriole che hanno alimentato le battute umoristiche dell’opposizione a Syriza.



Nei circoli conservatori di Atene si dice infatti che Alexis Tsipras il martedì, giovedì e sabato vuole rimanere nell’euro, il lunedì, mercoledì e venerdì vuole ritornare alla dracma e alla domenica propone che questo dilemma venga risolto con un referendum. Questa battuta dimostra la difficoltà di Tsipras ad uscire dagli iniziali radicalismi ma, negli ultimi tempi, è diventato chiaro che, nonostante la complessità dei suoi schieramenti politici, la Grecia non lascerà l’euro.



Una scelta che ha progressivamente tranquillizzato l’opinione pubblica e che è anche conseguenza del fatto che i tre quarti dei cittadini greci, nonostante la lunga crisi, preferiscono rimanere ancorati alla moneta unica europea. Avvicinandosi ad una possibile responsabilità di governo, Tsipras si rende inoltre conto che ben difficilmente avrà i voti necessari per governare da solo e che dovrà invece gestire una coalizione con partiti più moderati. Anche perché gli scenari sulle conseguenze di un’uscita dall’euro convergono nell’ipotizzare un disastroso processo inflazionistico, l’impossibilità di avere aiuti finanziari dall’estero, la lievitazione del costo del debito e una caduta del Pil di una cifra ipotizzabile intorno all'8%, interrompendo quindi i cenni di ripresa degli ultimi mesi.



Di fronte a questi eventi negativi, scarsi sarebbero i vantaggi di un aumento delle esportazioni e del turismo conseguenti alla svalutazione della moneta nazionale. Il cammino della revisione del programma di governo da parte di Syriza appare quindi guidato non tanto da un processo di conversione ma da un forzato realismo. Alla fine di questo tortuoso cammino Tsipras viene paragonato, da un certo numero di osservatori, all'ex presidente brasiliano Lula che, partito come rivoluzionario, ha poi portato avanti una politica di forte ma realistico riformismo per il Brasile che, in quanto a disparità sociali, non era certo secondo alla Grecia.



Il giorno dopo la possibile vittoria elettorale Tsipras si troverà tuttavia obbligato ad aprire difficili trattative con l’Unione Europea, senza il cui aiuto nessuna parte del programma potrà essere messa in atto. Saranno trattative difficili, perché la Germania non sembra avere alcuna intenzione di concedere oggi alla Grecia quello che non ha concesso in passato. Questo non tanto per paura delle conseguenze dirette di una ulteriore crisi dell’economia greca e nemmeno per paura dei danni di una ipotetica uscita della Grecia dall’euro.



Indiscrezioni non tanto indiscrete hanno infatti lasciato intendere che, essendosi attenuate le tensioni finanziarie nell’Eurozona, la Germania non si strapperebbe le vesti per una forzata uscita della Grecia dall’euro, la cosìddetta Grexit. La preoccupazione tedesca si fonda invece sulla presunzione che una politica troppo comprensiva nei confronti del debito greco rallenterebbe i processi di riforma che la Germania ritiene indifferibili nel caso della Francia e dell’Italia.



La trattativa tra il futuro governo greco e l’Unione Europea sarà perciò molto molto complicata, perché la Grecia insisterà su un rafforzamento e un prolungamento del piano di assistenza europeo mentre, da parte tedesca, si tenderà a concedere al massimo un misurato prolungamento del pagamento del debito, con la logica conseguenza di mantenere l'adozione di quelle politiche di austerità messe sotto accusa da tutti coloro che compongono la coalizione guidata da Tsipras.



Dati questi punti di partenza un compromesso appare assolutamente necessario ma altrettanto difficile, nonostante la Germania dovrebbe essere ben cosciente dei danni che, nella storia, sono stati provocati da una politica che ha imposto pesi non sopportabili sulle spalle delle popolazioni dei paesi debitori.



Una prolungata paralisi su un accordo fra Grecia e Unione Europea (o meglio fra Grecia e Germania) avrebbe esiti catastrofici non solo per la tenuta del sistema politico greco ma anche per il fatto che, prima della fine dell'anno, vi saranno le elezioni in Spagna, dove si va progressivamente rafforzando un partito (Podemos) che, pur con indubbie differenze, è nato dalle stesse esigenze che hanno dato vita a Syriza. Per tutti questi motivi le elezioni della piccola Grecia sono diventate un passaggio cruciale per la grande Europa. Speriamo che se ne renda conto anche la grande Germania.