Caos Iraq, spunta l'opzione militare: Obama pronto all'attacco aereo

Caos Iraq, spunta l'opzione militare: Obama pronto all'attacco aereo
di Flavio Pompetti
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Venerdì 13 Giugno 2014, 10:31 - Ultimo aggiornamento: 16:06

L'Iraq ha bisogno del nostro aiuto e di quello della comunit internazionale. Non escludo nessun mezzo di intervento. Il presidente americano Barack Obama, il politico che ha conquistato la Casa Bianca sei anni fa con la promessa di chiudere le campagne militari in Iraq e in Afghanistan, si trova ad affrontare una delle decisioni più difficili del suo mandato. L'opzione di lungo termine secondo il leader resta quella politica, con un'apertura del governo di Baghdad alla minoranza sunnita del paese. «In prospettiva dovremo attrezzarci per un'istruzione continua delle forze militari locali, in Iraq e in Nord Africa, per aiutare quei paesi a difendersi dalla minaccia del terrorismo» dice Obama, che però ammette: «Nell’immediato ci sarà bisogno di un intervento militare». Il presidente ha specificato che non riporterà i soldati Usa nel paese da cui sono partiti solo tre anni fa, dopo un'invasione durata un intero decennio. L'intervento potrebbe piuttosto avere la forma di un attacco dal cielo, con l’utilizzo dei bombardieri o di droni dei quali lo stesso Maliki ha invocato l'intervento. Il dilemma per l'amministrazione è se accettare di intervenire a fianco dell'attuale leader politico iracheno, il quale è considerato responsabile della rabbia dei sunniti insorti a fianco di al Qaeda, oppure chiedere prima una sua sostituzione con un nuovo capo di governo aperto alla inclusione delle minoranze.

I REPUBBLICANI

L'intervento americano è chiesto a gran voce dall’autorevole senatore McCain, che Obama sconfisse nel 2008 anche sulla base della diversa strategia militare in Medio Oriente: «Ogni esperto di sicurezza americano - ha detto il senatore dell'Arizona ieri in Congresso - ci dice che la crisi irachena potrebbe preludere alla creazione di uno stato di milizia islamica, e che l’evento avrebbe conseguenze catastrofiche per tutti». Meno sottile è la posizione del leader repubblicano John Boehner: «È da un anno che discutiamo la minaccia che Isis rappresenta per l'Iraq, e negli ultimi mesi dopo Fallujah sapevamo che i timori erano reali. E il presidente cosa ha fatto in questo tempo? Ha fatto una pennichella». La necessità di una reazione è percepita in ogni angolo del mondo, sia pure con modalità diverse. Da Parigi il ministro degli Esteri Laurent Fabius ha detto che «la perdita di sovranità dello stato iracheno è una seria minaccia» e che «la comunità internazionale ha l'imperativo di occuparsene», mentre l'Inghilterra ha inviato osservatori per stabilire l'entità dell'emergenza umanitaria.

EUROPA SENZA RUOLO

L'Europa non ha comunque un mandato al riguardo, come ha ricordato il comandante della Nato Rasmussen, e quindi «non ha ruolo da giocare nel conflitto in atto». La Germania ha chiesto il rimpatrio immediato di tutti i suoi cittadini residenti nelle regioni settentrionali dell'Iraq. L'Onu per bocca del suo segretario generale Ban Ki-moon ha condannato il sequestro dei cittadini turchi nella sede diplomatica di Monsul e ne ha chiesto l'immediato rilascio, mentre il governo di Ankara ha minacciato ritorsioni immediate contro quelli che in fondo sono i loro fratelli sunniti iracheni, se gli ostaggi non saranno liberati. Anche l'Iran sciita si è detto pronto ad intervenire nella crisi per difendere il paese vicino dalla minaccia di una infiltrazione delle forze terroriste islamiche. Il presidente Rohani ha definito «barbarico» l’Isis, e ha convocato i responsabili nazionali della sicurezza per analizzare la situazione. Prudente per ora la reazione di Mosca: il ministro degli Esteri Serghei Lavrov si dice «preoccupato» dall’avanzata jihadista, ma ricorda anche che la crisi attuale è la conseguenza dell’invasione statunitense e inglese del 2003.

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