Numeri romani addio, è rivolta, Franceschini: il sindaco ci ripensi

Numeri romani addio, è rivolta, Franceschini: il sindaco ci ripensi
di Mario Ajello
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Venerdì 24 Luglio 2015, 00:24 - Ultimo aggiornamento: 26 Luglio, 17:44

La decisione di abolire i numeri romani nei documenti e nelle strade della Capitale viene definita da tutti, come minimo, surreale. E’ il giudizio dei massimi esperti di lingua e dei più autorevoli studiosi della storia antica.

Ma anche il ministro dei Beni Culturali interviene sull’iniziativa, che sembra uno scherzo e però non lo è, della Giunta capitolina in linea con una direttiva generale dell’Istat sulla (presunta) semplificazione. «Spero - osserva Dario Franceschini - che ci sia spazio per un ripensamento. I numeri romani sono un pezzo della nostra identità, in particolare a Roma. E mantenerli avrebbe un valore non soltanto culturale ma anche di memoria e educativo per le future generazioni».

IL GRANDE EDUARDO

Uno storico del calibro di Luciano Canfora usa altri toni. Più sferzanti: «E’ un’iniziativa stupida quella della giunta guidata da Marino. Eduardo de Filippo diceva: a me, mi fa paura ’o fesso! Si addice bene questa frase al sindaco di Roma. Ho sempre detto che dovrebbe arrivare un commissario al Campidoglio e nessun commissario avrebbe mai avuto questa idea ridicola». Ma professore, siamo sicuri che i romani d’oggi capiscono i numeri romani? «Forse - incalza Canfora - a non capirli è Marino. Sarebbe bello fargli un esame».

LE BUCHE

Da un antichista a un celebre linguista ed ex ministro: Tullio De Mauro.

Prima ride. Poi cerca di essere serio De Mauro. E spiega: «Quando si diffuse la numerazione araba, che cosa accadde? Avvenne che, un po’ alla volta, per nobilitare con un richiamo classicistico i conti dei bottegai, le scritture pubbliche e poi i libri e le lapidi e le targhe, invece di usare i numeri arabi si comincia a indicare l’equivalente in cifre romane. Anche se, come si sa, c’è uno scarto. Perchè l’anno primo dopo Cristo non era l’anno uno dell’èra volgare ma l’anno zero. E insomma, per esempio, 1412 si scrive latinamente MCCCCXII. Il che nel suo valore autentico significherebbe 1413. Così come, altro esempio, il secolo XVIII non è l’Ottocento ma il Settecento».

Perché racconta tutto questo, professor De Mauro? «Voglio dire che l’uso nobilitante delle cifre romane è andato avanti, senza problemi, per tanto tempo. Ora si è svegliato Marino, il quale farebbe bene a occuparsi invece del numero preciso, magari anche contandole con le cifre romane, delle buche nelle strade. Per poi procedere alla sollecita riparazione».

IRONIE & TIMORI

L’ironia degli studiosi si accompagna alla loro preoccupazione - che è anche di tutti i cittadini romani - per una iniziativa improvvida di cui nessuno sente il bisogno. Lo storico Andrea Giardina giudica «surreale» la cosa e aggiunge: «Prendendola per realistica, bisogna fare due osservazioni. La prima: gli ideatori di questa delibera hanno ignorato che i numeri romani sono tuttora in uso in molte lingue del mondo. La seconda: questa è l’ennesima dimostrazione di provincialismo». O di «follia»?

Così la vede il filologo Maurizio Bettini, che insegna a Siena e lo scorso anno ha pubblicato un libro molto importante («Elogio del politeismo. Quello che possiamo imparare dalle religioni antiche»). Spiega Bettini: «La numerazione romana è preziosa, perchè posizionale. Se per esempio la stanghetta I la metti dopo XX, viene fuori ventunesimo. Se invece la metti in mezzo alle due X, viene fuori diciannovesimo. Questa è una forma cognitiva interessante, da non perdere, perchè lega le quantità numeriche alla disposizione spaziale. Queste forme ti aiutano a ragionare. Se le abolisci, perdi una forma culturale importante. E’ come abolire una lingua. Oltretutto, vedendo le cifre romane nella segnaletica stradale, ti abitui a quel linguaggio numerico e poi davanti alla targa di un monumento capisci più o meno di che cosa si tratti». E ancora Bettini: «Non lo dico perchè sono un latinista. Ma la numerazione dei greci è più banale. Usano semplicemente lettere dell’alfabeto». E quella araba? «E’ lì che nasce la cifra. Teniamoci sia i numeri arabi sia i numeri romani, e finiamola qui!».

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