Mario Luzi: questa è la mia Cina. Il diario di viaggio del poeta nell’anno centenario della nascita

Mario Luzi: questa è la mia Cina. Il diario di viaggio del poeta nell’anno centenario della nascita
di Renato Minore
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Lunedì 17 Novembre 2014, 10:39 - Ultimo aggiornamento: 20 Novembre, 16:54

Nel 1980 una delegazione di scrittori italiani fu invitata in Cina. Ne facevano parte Alberto Arbasino, Luigi Malerba, Vittorio Sereni e Mario Luzi. Tutti scriveranno i loro resoconti del viaggio, poi variamente pubblicati.

Luzi scrive un poemetto, ”Reportage”, tredici brevi liriche senza titolo in cui, senza remore culturali e scusanti ideologiche, tenta di rappresentare la Cina come essa appare e come sia cambiata dalle sue origini fino «alla prigionia in se stessa e alla schiavitù di un lento, difficile isolamento». E lo integra con un denso e spesso fulminante taccuino di viaggio, che ora possiamo leggere nell’edizione delle sue ”Prose” curata da Stefano Verdino appena pubblicata da Aragno (380 pagine, 20 euro) che nasce in occasione dell’anno centenario del poeta (per avere informazioni sulle molte iniziative previste in tutta Italia si può consultare il sito http://centenariomarioluzi.com).

Un diario in presa diretta con incontri, occasioni, faticosi spostamenti, imprevisti (come il tesoretto dei souvenir dolorosamente perduto) di un viaggio pieno di sorprese e di scoperte.

E in un paese immenso ed enigmatico dove le vicende della Banda dei Quattro (giunte in quei giorni all’epilogo del processo di cui tutti parlano e che è trasmesso in tv) hanno mutato le coscienze nel segno d'una richiesta d'adeguamento al resto del pianeta, di democratizzazione a partire, almeno, dalle questioni minime e basilari: «Qui il potere è sommo e confina con la sua assenza /Si parla di una nuova équipe legittima/ insediata nel palazzo al posto di una cricca/ altrettanto poco nota oggi sotto processo./ Il potere tace nel suo monumento».

Sullo sfrondo una stagione di liberalizzazione della vita culturale, politica, economica e sociale che è il cuore di molte delle discussioni con dirigenti e intellettuali, spesso bloccate dalle cautele dei protocolli ufficiali, dai freni inibitori dall'autoritario partito comunista. Come nell'incontro con Mao Dun, l’anziano scrittore che pian piano pare sciogliersi dai lacci della censura e dell'omologazione dell'opinione, tanto da arrivare a criticare (magari grazie alla protezione garantitagli dalla sua fama) il sistema di scelte maoiste. Luzi discute con singole persone o rappresentanti del partito e della cultura. Ma da questi non ricava niente di così vivo e inatteso come invece dalle «guance dei bambini, i loro cappuccetti di lana gli occhi lucenti come olive», che affollano le strade. Ciò che conta è la finissima curiosità per la moltitudine dei cittadini, descritti il più delle volte come un'immensa folla, un numero imprecisato e inimmaginabile. Non c’è dubbio: la moltitudine e le grandi masse d'uomini sono esperienza privilegiata del vissuto, «lucerna, dove il fuoco della verità alimenta il lume della grazia». La mente e la sensibilità del visitatore europeo sono travolti dalla «grande pletora di donne e uomini», il cui senso è disperso in «miriadi di pupille, di iridi» e si fa meraviglioso mistero, impossibile da svelare perché «annullato tutto nel loro vorticante numero». E una domanda finale affiora sulle capacità di comprensione dell'altro: «Ma ci siamo avvicinati almeno un poco alla mente cinese? Mente che è causa ed effetto di una cultura veramente altra dalla nostra?».