Munro, quella volta a Pescara per il premio
Flaiano: «Il racconto è una casa»

Munro, quella volta a Pescara per il premio Flaiano: «Il racconto è una casa»
di Renato Minore
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Giovedì 10 Ottobre 2013, 20:09 - Ultimo aggiornamento: 20:10
Un racconto non e' una strada che ci si mette a percorrere, e' una casa. Ci entri e ci rimani per un po', andando avanti e indietro e sistemandoti dove ti pare, scoprendo i rapporti tra camere e corridoio, e come il mondo esterno viene alterato se lo si guarda da queste finestre. Così disse Alice Munro in occasione del "Flaiano" nel luglio del 2008. E il lettore deve percepire quello che è raccontato come «qualcosa di stupefacente, e non perché accade, ma per il modo in cui tutto accade».



A Pescara era giunta a sorpresa, finalista del premio (con Alberto Arbasino e Ismail Kadare' ) che poi vinse, votata dalla giuria popolare, senza che ne fossero informati i suoi editori e l'agente londinese. Lei, persona schiva, molto legata a Clinton, paese di tremila anime nell'Ontario dove trascorreva e trascorre sei mesi all'anno, aveva sempre declinato ogni invito di questo tipo. Ma alla proposta abruzzese aveva detto di sì, forse perché aveva letto e molto amato uno scrittore di questa terra, Ignazio Silone. Aveva letto il suo romanzo più famoso “Fontamara” che in area anglossassone è stato un autentico best seller e aveva sentito «nella differenza una certa sintonia» tra i contadini abruzzesi e quelli della sua terra che raccontati in “La vista da Castle Rock”. Il libro premiato del Flaiano è dedicato alla storia della sua famiglia, venuta in Canada dalla Scozia nell'Ottocento. Contadini poveri e austeri, grandi lettori della Bibbia.



Spiegava: «Ho mescolato la realtà documentale, ricostruita anche grazie al fatto che nelle varie generazioni della mia famiglia qualcuno ha sempre scritto quel che gli accadeva. Mio padre ha addirittura lasciato un romanzo sull'epopea deli ''pionieri'' in Canada. Su questo materiale sono intervenuta con la fiction, l'immaginazione». E aggiungeva a proposito delle mutazioni indotte dal tempo: «I valori, anche quelli contadini, anche quelli delle generazioni di immigrati che si sono avvicendate nell'Ontario, cambiano. Tutto cambia. Ma il cuore degli uomini e' rimasto lo stesso. Per una donna della mia eta' resta profondo il senso di responsabilita'. Il dovere direi di salvare certe cose».



L’immaginazione nel suo caso significa una cosa sola, l’abilità e la leggerezza del narrare. Con la naturalità di una macchina da prese che gira intorno, muovendosi con rapidità e decisione, in apparenza senza scopo, mentre in realtà vede tutto quello che c’è da vedere. In grado di dire l’essenziale, e anche di più, nel breve giro di una frase e, pur restando sulla superficie, senza cioè cedere alla psicologia o a spiegazioni recondite scortica i suoi personaggi, le mette a nudo, senza mai giudicarli. Alla fine, dopo lo spoglio dei voti, il presentatore le chiese del Nobel.



Anche Seamus Harney e Saramago lo avevano avuto, poco dopo il Flaiano. Rispose semplicemente: «La giuria non ha mai comunicato una lista dei finalisti, è soltanto dalle congetture dei media che ho saputo di essere candidata. Ciò che conta non sono i premi o le onorificenze, bensì i tanti lettori, e l’empatia che loro provano (spero) nei confronti delle mie opere. Non c’è una sola cosa al mondo che meriti di essere data in cambio».
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