Violentata a Roma, il racconto choc della vittima: «Quella bestia mi mordeva le labbra»

Violentata a Roma, il racconto choc della vittima: «Quella bestia mi mordeva le labbra»
Tre uomini la tenevano ferma allungando continuamente le mani e un altro si avventava su di lei come una belva feroce. L’orrore ha superato ogni fantasia, anche la...

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Tre uomini la tenevano ferma allungando continuamente le mani e un altro si avventava su di lei come una belva feroce. L’orrore ha superato ogni fantasia, anche la più malata, in una vecchia Panda sotto un cavalcavia dell’autostrada del Sole. «Quella bestia mi mordeva le labbra, il volto, le braccia, dietro le spalle, sulle gambe, sembrava un leone famelico, puzzava di birra; io vomitavo, ma a lui non importava, bestemmiava, mi diceva: “Vomita pure, tanto t’ammazzo”. Mi metteva in mano un telefono per illuminare la scena, con un altro filmava lo stupro, “lo metto su Facebook”, rideva e io vomitavo ancora». Silvia (nome di fantasia), 44 anni da compiere, si fa forza, con le parole tenta di liberarsi dall’orrore. «Mi sono lavata e rilavata, sterilizzata, ma quello schifo proprio non se ne va». 


Li aveva mai visti prima?
«No, mai. Era l’una, stavo aspettando il bus davanti alla stazione di Rebibbia, avevo finito da poco di lavorare come comparsa nel pubblico di “Vuoi scommettere” negli studi Mediaset al Palatino. É così che mi guadagno da vivere. Qualche volta i colleghi mi accompagnano a casa, altre prendo il bus. Non avevo mai avuto problemi, nessuno mi aveva mai toccata. Ho girato il mondo, viaggiando anche da sola, in Africa, in America, in Olanda, so farmi rispettare dagli uomini, ma questi erano belve».

L’hanno trascinata nella Panda?
«Sì, inizialmente erano due nell’auto. Ma è quello che guidava che parlava di più, era il capo. Mi ha detto anche come si chiamava. La sua figura minuta, il viso sbarbato e i folti capelli neri non li scorderò mai. Si sono accostati, lui mi ha detto: “Sto portando il mio amico a Tivoli, dai ti diamo un passaggio”. Io mi sono rifiutata, quell’uomo stava bevendo birra, era su di giri. Lo sportello sul lato passeggero era tutto rotto, ho avuto paura. “Tranquilla siamo Bangladesh, siamo bravi noi, lo sportello è rotto perché faccio il meccanico, l’auto è di un cliente. Domani la riconsegno, è da 9 anni che vivo in Italia».

E poi?
«Naturalmente non gli ho creduto, ho fatto per allontanarmi, ma in un lampo l’altro è sceso, mi ha spinto dentro la macchina, mi ha dato anche un calcio. Subito mi sono trovata un coltello alla gola».

Cosa è successo durante il tragitto?
«Quello guidava come un pazzo, una mano sul volante, con l’altra stringeva una bottiglia di birra e fumava. Sbandava. Mi ripeteva di stare tranquilla, l’altro parlava poco, aveva il volto semicoperto da una sciarpa. Siamo passati anche davanti agli studi Titanus, dove si è fermato da alcune schiave del sesso, sembravano conoscerle. “Ci vediamo dopo”, hanno detto loro. Ho chiesto di poter scendere, ma non mi facevano muovere. Quell’altro guardava sul telefonino dei filmati porno, sotto i sedili c’era quel coltellaccio e ci saranno state una ventina di bottiglie di birra vuote. Ero terrorizzata, ma speravo di cavarmela. Poco dopo, però, ho pensato di morire».

Quando si è spalancato l’inferno?
«Arrivati a Guidonia, ha improvvisamente sterzato a sinistra, su una stradina di campagna. Il “boss” al volante era sicuro del fatto suo, andava spedito. Si è fermato sotto quel cavalcavia, sentivo il rumore delle auto e dei camion che passavano sopra. Dal buio sono spuntati altri due uomini, ubriachi fradici. Si conoscevano, forse dormivano là in mezzo alla discarica. “Mo’ che voi fa? O ci stai o, guarda, manco mi serve il coltello, ti stritolo con questa mano”, e mi ha afferrato per il collo. Mi tiravano le gambe, mi hanno sfilato una parte del pantalone, mi davano schiaffi e lui mi schiacciava il volto. Io ho provato a difendermi, ma loro erano in quattro sopra di me. A un certo punto mi hanno detto: “Sai quante ne abbiamo ammazzate, ora ti mettiamo dentro una busta e ti buttiamo qua”. E per convincermi il “capo” mi ha fatto vedere i filmati che aveva sul telefonino: si vedeva la sua faccia e poi donne, straniere, che urlavano e imploravano pietà. Allora ho chiuso gli occhi, volevo solo che finisse tutto presto».

Credevi di morire?

«Sì, e quando dopo che si sono sfogati, sono riuscita a riagguantare la borsa e mi hanno abbandonato lì nel buio, non mi sembrava vero. Avevo il mio telefonino, con tutti i numeri preziosi per il lavoro, riavevo, nonostante tutto, la mia vita. Ho chiamato il 113, i poliziotti che ho incontrato poco dopo ora sono i miei angeli. Mi sono sentita protetta. Ho indicato loro le bottiglie e la sigaretta lasciate dal branco a terra. Dico alle donne: non subite e se qualcun’altra è finita nelle mani di quelle bestie, parli». 
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Il Messaggero