Valtur chiede il concordato preventivo

Una foto del sito dei villaggi Valtur
Valtur tenta la strada della ristrutturazione e del risanamento e chiede al tribunale di Milano il concordato in bianco, così come era già accaduto nel 2011. Ora la...

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Valtur tenta la strada della ristrutturazione e del risanamento e chiede al tribunale di Milano il concordato in bianco, così come era già accaduto nel 2011. Ora la società avrà tempo sessanta giorni, prorogabili per altrettanti sessanta giorni, per presentare un piano che, se approvato, dovrebbe rimettere in piedi il gruppo. La decisione di chiedere il concordato 'prenotativò arriva dopo che Valtur ha accumulato debiti per circa 70 milioni.


Nel 2017 il bilancio si è chiuso con un fatturato di circa 85 milioni e una perdita di 80 milioni, in linea con il risultato del 2016. Gli ultimi anni di Valtur non sono stati propriamente semplici. Nel 2011 viene avviata una procedura concorsuale dopo aver accumulato debiti per 300 milioni di euro. Arriva l'amministrazione straordinaria fino al 2013 quando Valtur viene rilevata da Orogroup, della famiglia Ljuljdiuraj, e tra i soci con il 42% c'era Nem della Popolare di Vicenza. A distanza di tre anni il fondo Investindustrial, che fa capo ad Andrea Bonomi, rileva il gruppo e investe 100 milioni per ripianare le perdite e per un aumento di capitale. A fine 2016, con il nuovo azionista e l'arrivo del nuovo management, emergono una serie di problematiche finanziarie e gestionali.

La società affronta la stagione estiva 2017 ma la situazione complessiva non migliora e viene effettuato un secondo aumento di capitale. Nonostante tutti i tentativi di rimettere in sesto i conti la situazione non migliore e l'azienda ha quindi deciso di provare con la strada del concordato in bianco. Sulla decisione di Valtur è intervenuto Luca de Zolt della Filcams-Cgil secondo il quale la richiesta di concordato è «senza nessuna prospettiva per il prosieguo delle attività», ipotesi che viene smentita da fonti della Valtur secondo le quali la strada intrapresa non equivale a una chiusura dell'azienda.
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Il Messaggero