A Roma nacque la prima tipografia: a guidarla 3 giovani provenienti dalla Germania

A Roma nacque la prima tipografia: a guidarla 3 giovani provenienti dalla Germania
Si ricordano sempre, e giustamente, i primati di Venezia nell'arte della stampa: nel Cinquecento, raccontava Gino Luzzatto, produce due terzi dei libri editi nella nostra...

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Si ricordano sempre, e giustamente, i primati di Venezia nell'arte della stampa: nel Cinquecento, raccontava Gino Luzzatto, produce due terzi dei libri editi nella nostra penisola; la tecnologia vi approda nel 1469, con il placet del doge; tanti nomi famosi, a cominciare da Aldo Manuzio e dai precursori, Cristoforo Valdarfer, Vindelino e Giovanni De Spira, provenienti dalla Germania. Ben pochi rammentano, tuttavia, che la prima città a vantare una tipografia, nel 1467, è stata proprio la capitale dei papi. La sede era sul retro del Palazzo Massimo «alle colonne», capolavoro (però successivo) di Baldassarre Peruzzi (1532), con la facciata curva. E il primo libro romano ad essere stampato grazie al sistema inventato da Johannes Gutenberg, con la Bibbia nel 1455, è di Cicerone: le Lettere familiari, si intende in latino.


L'ARRIVO
L'innovazione avviene sotto Paolo II, il veneziano Barbo, peraltro descritto come gran nemico dei letterati. Nel 1464 o al più tardi l'anno successivo, spiegava Gregorovius, da Magonza, dove già lavoravano in un'officina, arrivano tre giovani: Ulrico Halin, e i chierici Arnoldo Pannartz e Corrado Schweinheim, conducendo operai, e portando anche torchi e caratteri mobili. I loro, saranno i primi libri stampati fuori dalla Germania. Li aveva chiamati Niccolò da Cusa, o Nicola Cusano, cardinale nato a Treviri, in Germania; ma non godranno granché della sua protezione: il porporato, infatti, muore. Così, prima cercano aiuto nel monastero di Subiaco, abitato da tanti monaci tedeschi, dove vengono ricoverati. Ne era prevosto Tomás de Torquemada (o Turrecremata), domenicano e cardinale dal 1439, che, in seguito, diverrà assai famoso come l'inflessibile giudice dell'Inquisizione spagnola. E dal monastero provengono i primi libri, nel 1465: la grammatica latina di Elio Donato, Lattanzio, il De Oratore di Cicerone, e il De Civitate Dei di Sant'Agostino. Ce ne sono esemplari nella biblioteca di Santa Scolastica; e nel museo della Rocca, il Macs, una riproduzione fedele del loro torchio.
I TESTI
Il primo che approda a Roma, Subiaco gli stava stretta, è Halin. Lo invita e protegge Torquemada. Seguito da Pannartz e Schweinheim. I fratelli Pietro e Francesco Massimi concedono loro una stanza al piano terreno per l'officina. Il successo giunge però quando all'impresa si unisce il milanese Giannandrea de Bussi, bibliotecario di Sisto IV della Rovere, papa dal 1471, e già al servizio del cardinal Cusa. Era un grande erudito. Corregge i testi dei tipografi tedeschi, ne scrive le prefazioni, dirige la pubblicazione dei nuovi libri, anche Livio e Virgilio. Muore nel 1475; ma le sue dediche a Paolo II gli erano già valse la carriera ecclesiastica, e non solo: come lui stesso ammette, il papa lo trasse dalla povertà in cui languiva. Quando ancora era al lavoro con i tre tedeschi, vivono anche la stagione d'un grande primato: stando a Costantino Maes, nel 1472 dalle officine tedesche a Roma escono 12.475 libri, un numero elevatissimo per i tempi. Tuttavia, era intanto giunto in città un altro tedesco, Ulderico Hahn, italianizzato in Gallo: è il primo ad ornare i libri con figure, create in legno.

LA SEPARAZIONE

Correttore di Halin diventa Giovanni Antonio Campano, che era vescovo di Teramo; poi Giovanni da Lignamine, medico di Sisto IV. E il tipografo di trasferisce da lui: «Un negozio lucroso». Ma dal 1477, di Halin si perde ogni notizia. Meno fortunati, invece, gli altri due. Ormai, c'erano già tanti concorrenti; Bussi invoca un sussidio da papa Sisto: dice che la loro casa era «piena di quaderni stampati, ma vuota di ogni cosa necessaria alla vita». Senza successo. Corrado si vota alla litografia: stampa le tavole di un'edizione di Tolomeo, di Domizio Calderini; ma muore nel 1476. Allora, Arnoldo stampava ancora; ma dopo, «non s'ode parlare più di lui», conclude Gregorovius. Una lapide in Piazza dei Massimi evoca l'impresa pioneristica. Oggi, 550 anni dopo, i libri possiamo perfino stamparceli in casa.
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Il Messaggero