Mondo di mezzo, la Cassazione: «Non è mafia». Le pene saranno ricalcolate in Appello

Mondo di mezzo, in Cassazione cade l'accusa di mafia: resta solo l'associazione per delinquere. Gli ermellini hanno dichiarato esclusa l'associazione mafiosa nel...

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Mondo di mezzo, in Cassazione cade l'accusa di mafia: resta solo l'associazione per delinquere. Gli ermellini hanno dichiarato esclusa l'associazione mafiosa nel processo «mondo di mezzo», ribattezzato Mafia capitale, rispetto alla sentenza d'appello che aveva invece riconosciuto l'articolo 416 bis. Cadono anche molte delle accuse contestate a Salvatore Buzzi e Massimo Carminati. Alla lettura della sentenza molti dei familiari degli imputati hanno iniziato a piangere.


LE CONDANNE
I giudici della Cassazione, che con la sentenza di questa sera hanno annullato senza rinvio quindi non riconosciuto il 416 bis, hanno rinviato in Appello per la rideterminazione della pena in relazione all'associazione per delinquere semplice. Gli imputati si attendono così una netta diminuzione delle pene stabilite nel processo di secondo grado. 
Ci saranno da ridefinire le pene di 24 dei 32 condannati. Per gli altri 8 le sentenze sono definitive.


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Ora diventano definitive le condanne per 8 dei 32 imputati del processo mafia capitale. Si tratta di Mirko Coratti (4anni e 6 mesi), Giordano Tredicine (2 anni e 6 mesi), Franco Figurelli (4 anni), Marco Placidi (5 anni), Andrea Tassone (5 anni), Guido Magrini (3 anni), Mario Schina (4 anni) e Claudio Turella (6 anni). Per gli altri 24 imputati, tra i quali Massimo Carminati, Salvatore Buzzi e Luca Gramazio, le pene andranno ridefinite in un nuovo processo d'Appello.
 


«Non sono stupito da questa sentenza. Ci poteva stare, è una questione assolutamente nuova alla Cassazione. Sono interessatissimo alle motivazioni per capire il ragionamento tecnico-giuridico». Lo afferma all'Adnkronos il magistrato Alfonso Sabella, ex assessore alla Legalità nella giunta di Ignazio Marino, sulla sentenza della Cassazione sul Mondo di mezzo. «Mi pare almeno di capire che la Cassazione ha confermato che, per un periodo, la macchina amministrativa è stata ostaggio di criminali che avevano piegato l'interesse pubblico agli interessi privati, alterando le regole della buona amministrazione con la complicità di una burocrazia romana che nei migliori dei casi era incapace, in altri casi ancora corrotta». Secondo Sabella la «Cassazione ha confermato che la mia città è stata ostaggio dei criminali per tanto tempo». «Attenzione a dire che a Roma non c'è la mafia, a Roma la mafia c'è e mafia capitale non esisteva più già dal dicembre 2014», continua Sabella facendo riferimento all'operazione che portò alle retate e agli arresti. «La mafia a Roma è presente in modo più tradizionale come la Cassazione ha certificato in altre sentenze su Spada, Fasciani, camorristi, 'ndranghetisti - conclude Sabella - Roma è più corrotta che mafiosa: il problema principale è la corruzione, ma la mafia non è da sottovalutare».

«Era una storia giuridicamente un po' forzata: per annullare senza rinvio vuol dire che la Cassazione l'ha ritenuta giuridicamente insostenibile». Così il legale di Massimo Carminati, Cesare Placanica, commentando la sentenza della Cassazione che ha annullato senza rinvio il 416bis per Salvatore Buzzi e Massimo Carminati. La Cassazione ha distinto le associazioni in due senza ritenere di stampo mafioso.

«Roma è liberata dalla mafia. È stata scritta una pagina finalmente chiara. Credo che il tempo mi abbia dato ragione. Soprattutto questo collegio che nessuno potrà mai delegittimare. La vita di Buzzi da questo momento e cambiata, potrà guardare al suo futuro». Lo ha detto il difensore Alessandro Diddi dopo il verdetto definitivo nel processo per mafia capitale. «Ora c'è un annullamento con rinvio e dobbiamo fare dei conteggi. «Buzzi su mia indicazione aveva ammesso alcune delle contestazioni. A Roma c'era un sistema marcio e corrotto e la sentenza di primo grado l'ha riconosciuto. La procura ha provato a sostenere la mafia. La Cassazione ha detto quello che avevamo sostenuto fin dall'inizio: c'erano ben due associazioni e soprattutto quella di Buzzi non è una associazione mafiosa», aggiunge l'avvocato sottolineando che la sentenza della Cassazione «è una lezione di diritto a tanti che in questi anni hanno cercato di sostenere che la difesa era farneticante. Credo che oggi il tempo mi abbia dato ragione».

Ancora Diddi«La Cassazione ha riconosciuto quello che noi abbiamo detto fin dall'inizio. Mi dispiace per la sindaca Raggi che c'è rimasta molto male, che ha sempre cercato di dire che le buche di Roma, i problemi della città dipendono da Mafia Capitale. Finalmente anche su questo abbiamo scritto una parola di chiarezza.  Buzzi ammise dove c'erano da ammettere le corruzioni. Abbiamo dimostrato che a Roma c'era un sistema marcio e corrotto, questo abbiamo dimostrato fin dalla prima udienza. Il tribunale di primo grado ha riconosciuto questo, la procura della Repubblica di Roma ha voluto continuare a sostenere che non è un sistema marcio e corrotto ma che c'è un gruppo di imprenditori che fa mafia. Ora la Cassazione ha riconosciuto quello che abbiamo sempre detto». 


«Luca Gramazio non è un mafioso, hanno riconosciuto la responsabilità anche se hanno annullato per alcuni dei reati satellite e quindi bisognerà rideterminare la pena. Anche nel caso di Gramazio l'accusa più grave, dal punto di vista morale, che gli era stata mossa è caduta con questa sentenza. Per il resto vedremo nel proseguo la sua posizione che comunque esce ridimensionata da questa sentenza». Lo ha detto l'avvocato Valerio Spigarelli, difensore dell'ex consigliere comunale e regionale del Pdl Luca Gramazio e dell'imprenditore Agostino Gaglianone, dopo il pronunciamento della sentenza da parte della VI sezione penale della Corte di Cassazione nel processo Mafia Capitale.


«Giustizia è fatta. Ho pianto a dirotto per la tensione e l'emozione. Forza Luca! Gramazio libero! Tiratelo fuori! Raggi dimettiti! No allo sciacallaggio politico.  L'infamia delle accuse di mafia hanno provocato un danno incalcolabile all'immagine di Roma nel mondo. Il brand della Capitale, come è noto, vale secondo uno studio analitico di Assolombarda, 91 miliardi. Ora chi risarcirà l'azienda Roma dei miliardi perduti?».» dice Francesco Giro, senatore di Forza Italia.


«I giudici della Cassazione dicono che mafia capitale non era una associazione per delinquere di stampo mafioso ma criminalità organizzata comune. Quale sia la differenza dal punto di vista dei cittadini onesti è difficile comprenderlo, rimangono pur sempre dei delinquenti che si sono impadroniti di una città, che ne hanno fatto il bello e il cattivo tempo, che hanno controllato e corrotto funzionari pubblici, che dettavano le regole, controllavano il territorio e hanno cercato di sostituirsi alle istituzioni». Lo afferma Vito Crimi, vice ministro dell'Interno, per il quale «la mafia non è solo quella che uccide, la mafia è anche questo. Che si definisca mafia o no, non importa, quello che è successo a Roma rimane una montagna di merda».

«Altro che mafia capitale, la Banda Raggi è arrivata in Campidoglio grazie a un'inchiesta che con la mafia non c'entrava nulla. E chieda scusa a una città che ha contribuito a infangare in questi anni», così Francesco Storace su twitter.

«Se non era mafia allora cosa era? Una associazione di volontariato?». Così Matteo Salvini, dopo la sentenza della Cassazione su mafia capitale, commenta a Porta a Porta la notizia data da Bruno Vespa.



L'ATTESA
Anche la sindaca di Roma, Virginia Raggi, e il presidente della Commissione parlamentare Antimafia, Nicola Morra, sono fra coloro che hanno atteso in Cassazione la sentenza sul processo Mafia Capitale. Fuori dall'aula magna per tutta la giornata si è radunata una piccola folla di avvocati e cronisti, presenti anche alcuni imputati e familiari. Al Palazzaccio, così come è stato per il dibattimento, non sono state ammesse le telecamere. I giudici si sono riuniti in mattinata in camera di consiglio per decidere la sorte dei 32 imputati. L'anno scorso la Corte di Appello di Roma ribaltò la sentenza di primo grado condannando 17 imputati per vari reati, alcuni furono condannati anche per quello previsto dall'articolo 416bis del codice penale, e cioè l'associazione per delinquere di stampo mafioso. 

La sentenza della Cassazione sul processo al Mondo di Mezzo arriva dopo tre giorni di udienze fiume con la requisitoria dei tre sostituti procuratori generali Luigi Birritteri, Luigi Orsi e Mariella De Masellis, terminata con la richiesta di conferma delle condanne dell'Appello, e le arringhe dei difensori.

Un processo che ruotava intorno al 416bis, il reato di associazione mafiosa caduto in primo grado ma riconosciuto in Appello. Al vaglio dei Supremi giudici la posizione di 32 ricorrenti, tra i quali 17 condannati in Appello a vario titolo per reati di mafia. Una sentenza che arriverà a cinque anni dall'operazione che con due retate, il 2 dicembre 2014 e il 4 giugno 2015, ha portato all'arresto rispettivamente di 37 e 44 persone. Una maxi inchiesta in cui la Procura, allora guidata da Giuseppe Pignatone, ha sostenuto come negli ultimi anni nella capitale abbia agito un'associazione di stampo mafioso, «romana» e con «caratteri suoi propri e originali rispetto alle altre organizzazioni mafiose»‎, capace di mettere le mani, con la complicità di politici e funzionari, sugli appalti pubblici: dai centri di accoglienza per i migranti ai campi nomadi, dal verde ai rifiuti. 


Il maxi processo si apre il 5 novembre 2015 e si conclude 20 mesi dopo, il 20 luglio 2017, con la sentenza di primo grado: condanne pesanti (meno di 300 anni di carcere complessivi rispetto ai 500 chiesti dall'accusa) ma senza il riconoscimento del 416bis, l'associazione mafiosa. Quarantuno condanne e cinque assoluzioni: Salvatore Buzzi viene condannato a 19 anni mentre Massimo Carminati a 20 anni, Luca Gramazio, invece, a 11 anni. Sentenza che viene ribaltata in Appello l'11 settembre 2018 con il riconoscimento della mafiosità dell'associazione per 18 dei 43 imputati. Per l'ex terrorista dei Nar Massimo Carminati e il ras delle coop romane le pene in Appello vengono ridotte. I due vengono condannati rispettivamente a 14 anni e mezzo e a 18 anni e 4 mesi. Ora l'ultima parola spetta ai giudici della Suprema Corte con lo spettro per molti degli imputati, attualmente liberi o ai domiciliari, anche alla luce delle nuove norme come la legge «spazzacorrotti», di finire in carcere se la condanna dovesse essere confermata anche solo in parte.
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Il Messaggero