Rigopiano, la dirigente della sala operativa: «La telefonata bufala? C’era un grande caos, io ero sotto stress»

Rimettendo insieme un po’ di cocci, nella sala operativa della Protezione civile, la sera di mercoledì 18, la concitazione è ai massimi livelli. E di fronte...

OFFERTA SPECIALE

2 ANNI
159,98€
40€
Per 2 anni
SCEGLI ORA
OFFERTA MIGLIORE
ANNUALE
79,99€
19€
Per 1 anno
SCEGLI ORA
 
MENSILE
6,99€
1€ AL MESE
Per 6 mesi
SCEGLI ORA

OFFERTA SPECIALE

OFFERTA SPECIALE
MENSILE
6,99€
1€ AL MESE
Per 6 mesi
SCEGLI ORA
ANNUALE
79,99€
11,99€
Per 1 anno
SCEGLI ORA
2 ANNI
159,98€
29€
Per 2 anni
SCEGLI ORA
OFFERTA SPECIALE

Tutto il sito - Mese

6,99€ 1 € al mese x 12 mesi

Poi solo 4,99€ invece di 6,99€/mese

oppure
1€ al mese per 6 mesi

Tutto il sito - Anno

79,99€ 9,99 € per 1 anno

Poi solo 49,99€ invece di 79,99€/anno
Rimettendo insieme un po’ di cocci, nella sala operativa della Protezione civile, la sera di mercoledì 18, la concitazione è ai massimi livelli. E di fronte alla versione fornita dalla funzionaria che ha riposto alla telefonata di Quintino Marcella, la mossa obbligata della squadra mobile di Pescara sarà la convocazione della responsabile, la vice prefetto Ida De Cesaris.


Cosa accadde di preciso quel giorno, soprattutto nelle tre ore cruciali dalla prima richiesta arrivata direttamente da Giampiero Parete, alle 17,09, fino alla concreta partenza della colonna dei soccorsi, alle 20?
«Non sono io il capro espiatorio che cercate - ringhia nel suo ufficio la dottoressa De Cesaris -, non sono io ad aver preso quella telefonata, basta ascoltare la registrazione per averne conferma. A quel tavolo eravamo in tanti, noi della prefettura, i radioamatori, i rappresentanti delle forze dell’ordine e del soccorso pubblico».

Ma tutto si svolgeva sotto il suo coordinamento diretto, a partire dalle 10 di mattina, quando la sala operativa fu attivata dal prefetto Francesco Provolo, alla luce dell’eccezionale nevicata in atto su tutto il territorio provinciale. Quali erano compiti e procedure?
«Per tutta la giornata sono entrata e uscita dalla stanza del prefetto, dove vertici e riunioni operative si susseguivano a getto continuo. A un certo punto ho chiesto di deviarmi sul cellulare di servizio soltanto le telefonate dei sindaci. Non ho valutato personalmente altre richieste di soccorso perché l’esperienza mi dice che in situazioni di tale gravità, specialmente nelle comunità più piccole il primo terminale delle popolazioni sono i sindaci. Penso di conoscere abbastanza questo territorio e i suoi problemi, dopo tanti anni di servizio. È di avere una buona comunicazione con alcune amministrazioni in cui ho svolto le funzioni di commissario. Nessuna superficialità nella gestione di un’emergenza estremamente complessa».

Alla luce della tragedia avvenuta, ritiene corrette le procedure seguite e le decisioni assunte?
«C’è un’inchiesta in corso. Di certo non tocca ai giornali distribuire patenti di colpevolezza».

Di più, e più pertinente, dirà oggi il verbale di interrogatorio della dottoressa De Cesaris. La versione da confermare o smentire, sul piano delle reponsabilità individuali è quella della funzionaria di prefettura che prese la telefonata di Quintino Marcella, ascoltata ieri dalla squadra mobile. Tra incertezze e molti non ricordo, in un interrogatorio a tratti drammatico, più volte sull’orlo dell’interruzione, è stata però precisa nel ricostruire i livelli di responsabilità al tavolo dell’emergenza: «Il mio compito - ha detto - era la raccolta delle informazioni, che venivano riportate e condivise con tutti i presenti nella sala operativa. Non toccava a me prendere decisioni. La telefonata di Quintino Marcella, come tutte e come le precedenti segnalazioni di una situazione di emergenza all’Hotel Rigopiano, è stata condivisa e verificata».


È sul come che la squadra mobile e la procura dovranno affondare la lama. C’è un buco di oltre mezz’ora tra la prima richiesta di aiuto di Giampiero Parete e il contatto tra la sala operativa e il direttore dell’Hotel Rigopiano Bruno Di Tommaso. Minuti preziosi spesi, tra l’altro, nell’inutile tentativo di raggiungere al telefono l’albergo. Come tutte le utenze di Farindola e dell’alta zona Vestina, quella sera anche quel numero suonava muto. Lo stesso silenzio irreale che, dopo la valanga, regnava a quota 1200 sul versante pescarese del Gran Sasso, rotto soltanto dalle disperate richieste di aiuto di Giampiero Parete e dell’altro scampato Fabio Salzetta, che nel vuoto della notte si perdono oppure rimbalzano colpevolmente contro il muro di gomma.

  Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero