La Corte Costituzionale boccia per la prima volta una norma, politicamente sensibile, del Jobs Act dichiarando illegittime le disposizioni che regolano i criteri di...
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Rivendica al «decreto dignità», di essere andato «nella direzione indicata oggi dalla Consulta». Per poi promettere «torneremo all'epoca pre-Jobs Act che ha tolto ai lavoratori un sacco di diritti», ma non pronuncia mai, almeno in questo caso, la parole «art.18». Il tema brucia tra le file del centro sinistra e della sinistra. Giorgio Epifani (ex segretario della Cgil, ex Pd oggi passato a Liberi e Uguali) critica il Jobs Act «ha fatto male a togliere la cigs» dice in aula chiedendo poi al Governo di ripristinare l'art.18. Chiara Gribaudo e Debora Serracchiani (Pd), interrogano il ministro di Maio sui contratti a termine, ma i loro interventi si accendono nella difesa di Renzi: «Io e lei abbiamo sul Jobs Act un'opinione completamente diversa, ma da me lei non sentirà mai la parola 'assassinò rivolgendomi a lei, capisce ?» tuona Serracchiani «La invito a pesare le parole, le parole possono essere pietre, le parole possono essere pallottole» dice evocando gli anni bui del terrorismo. Incurante il vicepremier ribadirà quelle stesse parole su facebook: «ho definito assassini politici quelli che hanno progettato, promosso, votato e difeso una riforma folle come quella del Jobs Act. Lo penso ancora».
Tornando alla sentenza della Consulta, questa stabilisce che l'art. 3, comma 1, del decreto legislativo 23/2015 è contrario ai principi di ragionevolezza e di uguaglianza fissati dagli art.4 e 34 della Costituzione in tema di Lavoro.
Il Messaggero