Città del Vaticano «Chiedo personalmente al governo italiano di aiutarci, attraverso il riconoscimento ufficiale del genocidio, a tornare nelle nostre terre e a...
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Un appello che nei giorni scorsi è stato raccolto in Parlamento, con due mozioni presentate alla Camera e al Senato e firmate da circa cento parlamentari. La campagna ha ricevuto anche l’appoggio del cardinale Jean Louis Tauran, presidente del Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso.
«Ringrazio Dio che tante persone e alcune istituzioni hanno finalmente iniziato a riconoscere quanto è accaduto alla nostra comunità – ha aggiunto monsignor Mouche – che è un autentico genocidio». Il 10 giugno scorso è ricorso il secondo anniversario della presa di Mosul da parte dello Stato Islamico. Meno di due mesi dopo la conquista della seconda città irachena, nella notte tra il 6 ed il 7 agosto 2014, Isis ha preso possesso di tredici villaggi cristiani della Piana di Ninive. Da allora gli oltre 50mila fedeli della diocesi guidata da monsignor Mouche – che rappresentano un terzo dell’intera comunità siro-cattolica mondiale – vivono in condizione di rifugiati.
«Per conservare la nostra fede abbiamo lasciato tutto: le nostre case, i nostri averi – continua il presule - I jihadisti hanno distrutto il nostro patrimonio storico, religioso e culturale, hanno impedito ai nostri bambini di tornare a scuola, vietano la celebrazione della liturgia in molte aree storicamente cristiane. Per noi questo è un genocidio».
Monsignor Mouche sottolinea come un riconoscimento ufficiale del genocidio da parte di più Paesi, possa esercitare pressione sul governo iracheno affinché si impegni maggiormente nella protezione delle minoranze e nel sostegno alle migliaia di rifugiati fuggiti dallo Stato islamico. «Se non fosse stato per la Chiesa locale e per quanti ci hanno aiutato, come Aiuto alla Chiesa che Soffre e la Conferenza episcopale italiana, queste persone non avrebbero di che vivere». Secondo il presule la definizione degli orrori dei jihadisti come genocidio, faciliterebbe e accelererebbe inoltre la liberazione delle terre in mano all’Isis. «In questo modo il governo iracheno si impegnerebbe maggiormente ad aiutarci a tornare nei nostri villaggi, a ricostruire le case distrutte e a garantirci sicurezza».
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Il Messaggero