Zona gialla, Fedriga: «Sistema a colori superato, riaprire subito palestre e piscine»

Zona gialla, Fedriga: «Sistema a colori superato, riaprire subito palestre e piscine»
Lo sconforto di chi precipita in zona rossa, l’euforia di chi torna in giallo. Da un anno l’Italia si muove a velocità differenti a seconda della diffusione del...

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Lo sconforto di chi precipita in zona rossa, l’euforia di chi torna in giallo. Da un anno l’Italia si muove a velocità differenti a seconda della diffusione del virus, ma ora che siamo a un passo dalla seconda estate di pandemia e soprattutto che la campagna vaccinale procede spedita, le Regioni chiedono al governo uno sforzo in più. Per andare oltre un sistema di catalogazione del rischio ormai obsoleto e che potrebbe compromettere la stagione turistica. «La nostra principale richiesta è cambiare i parametri di variazioni di colore delle regioni, superare definitivamente il sistema delle zone se le condizioni di diffusione del virus lo permetteranno.

 

 

 

Insieme al governo stiamo rivendendo i paramenti e anche questo è un passaggio transitorio», annuncia il presidente della Conferenza delle Regioni Massimiliano Fedriga. «Il virus è in fase di contenimento e se la situazione dovesse ancora migliorare, come tutti gli indicatori lasciano presagire, in un lasso di tempo ragionevole potremo superare definitivamente la questione delle zone e dei colori».

Indice Rt e zona rossa, le Regioni chiedono l'abolizione. Ma Speranza non ci sta

Coprifuoco alle 24, è scontro. Palestre e piscine ipotesi subito ok. Via libera a matrimoni e centri commerciali

 


Prima dell’estate potremo dire addio alla mappa in quattro sfumature?
«Al momento non posso fare previsioni, dipende dalla regressione dell’epidemia. Come Conferenza delle Regioni abbiamo fatto al governo la nostra proposta per la revisione degli indicatori decisionali. L’obiettivo è quello di avere parametri chiari, fortemente semplificati e in grado di generare automatismi per quanto riguarda gli scenari che coinvolgono le attività sociali ed economiche».


In concreto?
«Bisogna andare oltre l’attuale incidenza dell’Rt come indice guida per determinare lo scenario nei diversi territori, ma considerare il tasso di occupazione dei posti letto in terapia intensiva e in area medica. Bisogna evitare i repentini declassamenti dovuti a indicatori poco rilevanti in termini di impatto reale sul sistema sanitario, anche in vista della stagione turistica. Far passare una Regione in zona rossa nel periodo estivo sarebbe un danno enorme per il turismo e l’economia di quel territorio. E potrebbe accadere, perché quando il numero dei contagi è basso ogni minimo aumento ha un impatto sul parametro Rt ma non certifica una vera situazione di pericolo».


In effetti gli alberghi lamentano l’assenza di turisti legata proprio all’incertezza dei colori.
«Penso che a ridosso dell’estate ci sarà un aumento di prenotazioni e credo anche che la stagione andrà meglio rispetto all’anno scorso. Se tutto andrà bene i colori spariranno, fermo restando le linee guida di distanziamento e sicurezza. Dobbiamo guardare ai numeri, oggi in Friuli Venezia Giulia, la mia Regione, il rapporto fra casi positivi e tamponi effettuati è allo 0,58%, nei momenti peggiori della pandemia si arrivava al 12%».


Dunque è il momento di riaprire.
«C’è un programma votato e scelto all’unanimità dalla Conferenza delle regioni e portato all’attenzione del governo con cui mi confronto costantemente, anche in modo informale. Lunedì si terrà la cabina di regia, noi abbiamo portato le nostre proposte».


Quali sono?
«Ecco l’elenco di ciò che auspichiamo. Coprifuoco almeno alle 23, possibilità di tornare al lavorare anche per i ristoranti al chiuso, riapertura da subito delle palestre per le lezioni individuali, riapertura delle piscine al chiuso, una data certa per la ripresa dell’attività dell’organizzazione di matrimoni, anticipare dal primo luglio al primo giugno gli ingressi nei parchi tematici e di divertimento, consentire ai negozi dei centri commerciali di alzare le saracinesche anche nei fine settimana, parificare gli eventi sportivi agli spettacoli all’aperto di cinema e teatri. Perché ritengo che guardare una partita di rugby sia una situazione oggettivamente identica ad assistere a un balletto».


Sul coprifuoco c’è stato il dibattito più acceso.
«Non credo proprio che restare fuori casa un’ora in più aumenti il rischio pandemico. Semmai permette, nel rispetto di una scelta già compiuta dal governo, di far lavorare i ristoratori. Oggi il rientro alle 22 limita in modo fortissimo un settore già molto penalizzato».


Il green pass è un grande aiuto per l’accesso ai locali.
«Mi auguro che con l’implementazione della campagna vaccinale venga superato. In ogni caso può favorire il turismo dall’estero. Ci apprestiamo ad affrontare la seconda estate con il Covid, il green pass può incentivare l’arrivo di viaggiatori internazionali, quelli che portano i maggiori introiti per un settore che vive solo pochi mesi all’anno».


Sulle proposte al governo le Regioni erano tutte d’accordo?
«È stata una scelta unanime della Conferenza, senza distinzioni geografiche. Con la pandemia è completamente cambiato il rapporto tra Regioni, si è creata unità e aiuto reciproco: chi inviava materiale alle zone che ne avevano bisogno, chi ospitava pazienti quando i posti letto erano esauriti. È stata percorsa una strada condivisa. Prima c’era un confronto anche vivace per favorire il proprio territorio, ora le Regioni hanno raggiunto la maturità con cui si cerca di raggiungere sintesi unitaria. Sono diventate un interlocutore credibile per risposte di carattere nazionale».


Qual è stato l’insegnamento di questa pandemia?


«Le Regioni dovranno potenziare le cure intermedie del territorio. Sarà un processo non facile, tutti vorrebbero avere un ospedale sotto casa che fa operazioni a cuore aperto, ma cosi si sprecano risorse e le si sottraggono a servizi indispensabili. Serve un piano di prospettiva per formare il personale. Nei momenti più duri il problema non era la mancanza di infrastrutture, potevamo creare in poche tempo nuove terapie intensive ma non trovavamo anestesisti, pneumologi, infermieri. Negli ultimi vent’anni il Paese non ha investito sulla formazione e questo non si improvvisa».
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