Hanno sempre fruttato, ai 5 stelle, le case degli altri. Gran parte del loro successo elettorale i grillini lo hanno avuto bombardando sui privilegi e sui benefit dei politici. E...
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Trenta: «La casa grande mi serve, via dal Pigneto per lo spaccio». Procura militare apre indagine
La diversità morale grillina, il grido onestà-onestà-onestà, il francescanesimo e il pauperismo cui si richiamava Casaleggio padre e tutto il resto dell'ispirazione anti-politica del movimento nato dall'1 vale 1 (e approdato secondo gli sfottò dall'1 vale 30) sono andati a sbattere contro il comodo appartamento dell'ex ministra al quartiere San Giovanni che è preferibile, secondo lei, all'inquieto Pigneto. E comunque: è anche il contrappasso M5S a rendere più grande di quel che forse dovrebbe essere questo caso. I grillini, per fare un esempio, andarono come furie contro la ministra Josefa Idem - governo Letta - che per non aver pagato l'Imu nella sua casa di Ravenna e per aver ampliato abusivamente la sua palestra si dimise. Sotto il fuoco delle interrogazioni parlamentari M5S, con Nicola Morra uber alles.
L'affaire Casa Trenta racconta insomma la caduta dell'ultimo tabù 5 stelle: i ministri possono avere privilegi immobiliari e anche gli ex ministri. Infatti si minimizza tra molti parlamentari stellati la vicenda Trenta: «Sì, grave... Ma in fondo, che sarà mai...». Altro inciampo casalingo M5S lo ha dovuto patire con la dimora popolare al Quarticciolo della madre di Paola Taverna, vicepresidente del Senato, a cui è stato chiesto lo sfratto per mancanza dei requisiti necessari ad occuparla ancora a canone agevolato. E giù con gli attacchi da parte del Pd, molto in stile grillino a cui la grillina Taverna ha replicato così: «Questo è accanimento politico».
Lo Scajola Affaire ebbe in prima linea, inutile dirlo, proprio Grillo. Che all'inizio, nei suoi spettacoli, non faceva mancare uno sberleffo riguardante «il super-attico a sua insaputa» del ministro berlusconiano (a cui poi i giudici avrebbero dato ragione). Si trattava dell'abitazione di fronte al Colosseo, un bel primo piano pagato 610mila euro e rivenduto dieci anni più tardi, nel 2014. Ironia della storia, dopo lo scandalo Scajola proprio Di Maio sarebbe andato ad abitare da quelle parti, in via del Colosseo con esclusivo affaccio sui Fori Imperiali (prima Luigi stava a Trastevere). E le polemiche sull'affitto, con i soldi del gruppo parlamentare M5S, dell'appartamento di Rocco Casalino al centro del centro più bello e più comodo di Roma?
LA SOLDATESSA
Ma si può spaziare, tra case e polemiche, dalla dimora presa in affitto da Roberto Calderoli al Gianicolo (i leghisti che odiano Roma poi si piazzano in uno dei suoi punti più belli: questo fu il tenore degli attacchi) all'appartamento in via di Campo Marzio a disposizione di Giulio Tremonti, che costò all'ex ministro l'accusa di finanziamento illecito. Per non dire della febbre immobiliare che colpì l'ex tesoriere della Margherita, Luigi Lusi, che usò la cassa del partito anche per i suoi affari domestici e fu uno choc nel centrosinistra. Nell'occhio del ciclone ora c'è la Trenta. Ma naturalmente anche il partito che l'ha voluta in politica e al governo.
«La Trenta ha fatto Trentuno», cose così impazzano in queste ore. O così: «Una villetta al mare non le serve? Il box auto ce l'ha?». L'indignazione popolare che M5S attizzava in altri casi ora si attizza in senso ostinato e contrario. Un po' come accadde quando il padre di Di Maio, il signor Antonio, finì nella bufera, accusato di un piccolo abuso edilizio a Pomigliano d'Arco. Luigi gli fece fare un video a sua discolpa. Mentre la soldatessa Trenta non si piega e non si spezza. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero