Conte, il Pd lo candida alle suppletive a Roma. Calenda pronto a sfidarlo

Per l’ex premier il seggio della Capitale così Letta vuole lanciare l’asse con M5S. Il leader di Azione tentato dalla gara e il centrodestra potrebbe favorirlo

Giuseppe Conte non può restare fuori dal Parlamento italiano, sia pure in una legislatura quasi al termine (nel 2023, ammesso che non si voti prima ma è...

OFFERTA SPECIALE

2 ANNI
159,98€
40€
Per 2 anni
SCEGLI ORA
OFFERTA MIGLIORE
ANNUALE
79,99€
19€
Per 1 anno
SCEGLI ORA
 
MENSILE
6,99€
1€ AL MESE
Per 6 mesi
SCEGLI ORA

OFFERTA SPECIALE

OFFERTA SPECIALE
MENSILE
6,99€
1€ AL MESE
Per 6 mesi
SCEGLI ORA
ANNUALE
79,99€
11,99€
Per 1 anno
SCEGLI ORA
2 ANNI
159,98€
29€
Per 2 anni
SCEGLI ORA

- oppure -

Sottoscrivi l'abbonamento pagando con Google

OFFERTA SPECIALE

Leggi l'articolo e tutto il sito ilmessaggero.it

1 Anno a 9,99€ 89,99€

oppure
1€ al mese per 6 mesi

Rinnovo automatico. Disattiva quando vuoi.

L'abbonamento include:

  • Accesso illimitato agli articoli su sito e app
  • La newsletter del Buongiorno delle 7:30
  • La newsletter Ore18 per gli aggiornamenti della giornata
  • I podcast delle nostre firme
  • Approfondimenti e aggiornamenti live

Giuseppe Conte non può restare fuori dal Parlamento italiano, sia pure in una legislatura quasi al termine (nel 2023, ammesso che non si voti prima ma è improbabile). Non può restare nel suo studiolo, né nella sede M5S a Campo Marzio ancora deserta anche se strapagata, perché da lì il leader stellato non può partecipare direttamente a Montecitorio alle manovre per l’elezione del Capo dello Stato, rischia di essere surclassato - se assente - dalla capacità manovriera di Di Maio e dalla sua abilità a tessere rapporti con politici dell’intero spettro politico e soprattutto non garantisce a Enrico Letta il controllo anche fisico degli onorevoli grillini mentre la trama rossogialla per scegliere insieme il successore di Mattarella si andrà dipanando nei giorni clou delle votazioni a Camere riunite. Insomma, il Pd sta per dare via libera alla candidatura di Conte nel collegio Lazio 1, il centro storico di Roma (Celio, San Saba, Testaccio, Trastevere, Flaminio), appannaggio finora del Pd e in ultimo detenuto da Gualtieri (eletto con il 62 per cento) e prima da Gentiloni (eletto con il 42 per cento). Nel Pd danno la candidatura grillo-dem di Conte per fatta. Gasbarra che pareva in pole position per quella gara non lo è più. E Zingaretti dice: «Conte candidato in questo collegio è un’opportunità da valutare: noi dobbiamo costruire un’alleanza che si prepara a vincere le elezioni» (quelle del 2023, e intanto le suppletive che si terranno il 16 gennaio). Ovvero, Conte in Lazio 1 come simbolo del patto per le politiche stretto da Letta e lo stesso leader M5S. 

 

 

Al Nazareno danno la cosa per fatta. Mentre dallo staff di Conte, dove ogni volta nei mesi scorsi veniva smentita la possibile candidatura contiana, ora non arrivano smentite ma soltanto il silenzio: bocche cucite. Ma tra i parlamentari ieri sera i bene informati dicevano: «È fatta, ed è giusto così. Giuseppe vincerà e entrerà in Parlamento». Se vincerà, bisognerà vedere. Quel che è certo è che Letta, a sua volta diventato parlamentare a Siena nelle suppletive, è convintissimo della scelta Conte. Anche perché il Pd si stava incartando sul collegio Lazio 1. I dem romani spingevano per Gasbarra. Il segretario per una donna, Anna Maria Furlan, ex leader della Cisl, oppure per la zingarettiana Cecilia D’Elia, membra della segreteria dem con delega alle politiche per la parità. E invece, l’opzione Conte può mettere d’accordo tutti, tranne quelli che insistono nell’opporsi alla strategia di Letta che è assolutamente inderogabile, ossia quella dell’accordo Pd-M5S come nucleo fondante del Nuovo Ulivo allargabile a chi ci sta. Se poi in questo collegio, che è il più prestigioso, nel 2023 verrà candidato Zingaretti in quanto il personaggio di maggior peso nella sinistra a Roma e nel Lazio, ciò non significa che nel frattempo non possa andare a Conte che poi verrà spostato in un’altra zona - al Sud probabilmente - al prossimo giro che è quello vero della prossima legislatura. Letta ha pochissimi giorni per la decisione definitiva su Conte, perché il 13 dicembre le candidature vanno formalizzate, anche se per il Pd che ha sempre considerato il Lazio 1 un suo feudo esclusivo doverlo cedere al leader stellato è una rinuncia simbolicamente non indolore. Ma il realismo politico - dicono al Nazareno - impone questa scelta ed la scelta giusta. Che oltretutto toglie M5S dall’imbarazzo di presentare un candidato minore che non avrebbe toccato palla e evidenziato la crisi di voti del movimento. Mentre con Conte appoggiato dal Pd, e votato dagli elettori dem, i 5 stelle mascherano la propria debolezza estrema. Basti pensare che nel 2020, quando vinse Gualtieri, i grillini candidarono la sconosciuta Rossella Rendina. E andò malissimo. 

 

 

DESISTENZA

La carta Conte però ha un problema molto grande. Che è rappresentato dal maggior oppositore dell’accordo Pd-M5S, Ovvero Carlo Calenda. Si potrebbe profilare, proprio nella zona di Roma centro in cui Azione alle comunali ha preso quasi il 30 per cento dei voti, uno scontro al fulmicotone Conte-Calenda per il Parlamento italiano. In Azione, c’è chi dice: contro Conte il candidato giusto è proprio Carlo. E molti calendiani insistono su Calenda («Dai, sfidiamo Conte e abbattiamolo!») mentre lui è in modalità no comment ma non esclude affatto la propria candidatura. Nei giorni scorsi più volte ha detto il leader di Azione: «Siamo disponibili a ragionare con il Pd su una candidatura unitaria ma senza confronto procederemo per conto nostro». La scelta dem su Conte, se confermata, suona per Calenda come un vero schiaffo. E come un invito a mettersi in campo, sull’onda del successo ottenuto alle comunali dove il suo è il primo partito della Capitale. Intanto nel centrodestra ieri sera, appena sono cominciate a circolare le indiscrezioni su Conte, la reazione è stata: «Noi non abbiamo neppure la più pallida idea di chi candidare in Lazio 1 né contro di lui né contro qualche altro». Il rischio, per Pd e M5S, è che il centrodestra attui una desistenza mascherata. Potrebbe presentare una candidatura debole e fittizia e di fatto appoggiare nel segreto dell’urna Calenda. Togliendo ai rossogialli la certezza della vittoria. 

 

 

Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero