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I tempi della riforma sull’autonomia differenziata si allungano. Perché il capo del governo - come ha detto ieri - è convintissima che il nuovo assetto regionalista vada accompagnato a una più generale riforma dello Stato, imperniata sul presidenzialismo. Del resto autonomismo e presidenzialismo, nel programma elettorale del centrodestra, erano stati connessi e intrecciati indissolubilmente. Giorgia Meloni insomma invita tutti, anche la Lega, alla cautela. «Non servono fughe in avanti», spiega il capo del governo in video-collegamento con il primo festival delle Regioni organizzato a Milano: «Realizzeremo l’autonomia in tempi rapidi e in un quadro più ampio di riforme, tutte fondamentali per rafforzare l’attuale assetto dello Stato». Ovvero viene ribadita proprio l’accoppiata autonomia-presidenzialismo. Un tandem che richiede approfondimenti particolarmente accurati e così la riforma federale, di per sé, non può considerarsi all’ordine del giorno.
«L’obiettivo - incalza Meloni - è una maggiore responsabilizzazione per tutti, Regioni, Province e Stato, ma l’autonomia differenziata non sarà mai un pretesto per lasciare indietro alcune parti del territorio italiano: noi lavoreremo per una sua attuazione virtuosa, vogliamo assicurare coesione nazionale». Parole molto chiare rispetto a chi intende in maniera nordista e non al servizio dell’interesse generale questo che sarebbe un cambiamento profondo del sistema statuale e territoriale della Penisola. Che non a caso anche i presidenti regionali del centrodestra nel Mezzogiorno chiedono di trattare con molta delicatezza, per non aggravare le diseguaglianze del Paese.
Meloni è anche intervenuta, nella stessa occasione, sul cruciale dossier del Pnrr. Su cui avverte i partner europei: «Il Next Generation Ue è evidente a tutti che non è più sufficiente. Perché non poteva tenere in considerazione l’impatto che la guerra in Ucraina ha avuto sulle nostre economie. Bisogna fare di più oggi a livello Ue, partendo dal caro energia». Una strategia politica comune chiede il capo del governo italiano a Bruxelles, perché soltanto la piena condivisione di un problema e delle soluzioni da approntare a suo parere può riuscire a fronteggiare un’emergenza imprevista che complica la vita dei cittadini di ogni Paese.
Il discorso sull’Europa e quello sul futuro degli assetti italiani s’intrecciano, e riecco Meloni sull’autonomia: «La maggiore autonomia che ciascuna Regione potrà chiedere nell’ambito di quanto previsto dalla Costituzione è finalizzata a fare riforme per migliorare l’efficienza dei loro servizi, non a creare disparità tra i cittadini». Dunque, l’auspicio del governo è quello di muoversi in un quadro unitario e che «l’autonomia differenziata possa costituire per i territori una sfida, un giusto stimolo per colmare le diversità infrastrutturali, sanitari e sociali che purtroppo esistono».
Da questo punto di vista, quello delle diseguaglianze, la riforma del Titolo V della Costituzione, voluta dal centrosinistra nel 2001 per accarezzare elettoralmente le istanze nordiste, si è rivelata negativa. Meloni da lì parte per il suo ragionamento: «Occorre correggere le storture su cui oggi si basa il rapporto tra Stato e Regioni» perché la riforma del 2001 su molte materie invece di semplificare ha aumentato la conflittualità tra poteri dello Stato. E il contenzioso è cresciuto ulteriormente negli ultimi anni». Proprio per questo, «prima di fughe in avanti serve un confronto su collaborazione e competenze. Il governo vuole lavorare a una nuova forma di collaborazione: ricordo le critiche mosse da molti presidenti di Regione per il mancato coinvolgimento su varie materie e anche le critiche che io stessa ho mosso sul coinvolgimento mancato di un Parlamento che si ritrovava a votare un testo appena consegnato».
IL POOL
Il governatore pugliese, Michele Emiliano, è il primo ad applaudire le parole di Meloni. Ma è diffusa e trasversale l’esigenza di un regionalismo equilibrato e non di un’autonomia che divida.
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