Deficit, parte la retromarcia: Lega e 5Stelle isolano Conte

Il cerino rischia ora di rimanere in mano a Giuseppe Conte che ieri sera si è ritrovato a palazzo Chigi con il ministro dell'Economia Giovanni Tria nel tentativo, quasi...

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Il cerino rischia ora di rimanere in mano a Giuseppe Conte che ieri sera si è ritrovato a palazzo Chigi con il ministro dell'Economia Giovanni Tria nel tentativo, quasi disperato, di far entrare le costose richieste dei due vicepremier nei «numerini» a suo tempo concordati con Bruxelles.


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GLI INSOFFERENTI
Un cerino divenuto sempre più corto visto che il tempo stringe e a Bruxelles la pazienza sembra agli sgoccioli. Ma per Conte il problema è rappresentato dai due partner di maggioranza che a parole cercano l'intesa per evitare l'infrazione, ma poi disertano il vertice convocato per ieri sera e continuano a scontrarsi a distanza. Ormai il marcamento a uomo tra Di Maio e Salvini è paradossale e ciò che sta accadendo in Francia - con le manifestazioni dei gilet gialli e le concessioni di Macron - ha contribuito ad irrigidire le posizioni dei due.

Appena Di Maio ha saputo che il collega intendeva disertare il vertice serale che lo stesso sottosegretario Giancarlo Giorgetti sabato aveva di fatto annunciato, anche il vice grillino si è trovato un appuntamento «irrinunciabile». Una corsa a due divenuta una costante, mentre a palazzo Chigi Conte comincia a dare qualche segnale di insofferenza registrato ieri durante la riunione con i sindacati. Il presidente del Consiglio, dopo l'incontro a Bruxelles del mese scorso con Juncker e il G20 in Argentina, era sicuro di riuscire a portare a casa l'intesa su una manovra che non sarebbe dovuta andare oltre il 2% di sforamento e raddrizzata dal lato degli investimenti. Una linea di «ragionevolezza» apprezzata da molti, compresi gli investitori, e che ha fatto scendere lo spread sotto 300. Un dialogo, quello di Conte con la Commissione, apprezzato soprattutto da Sergio Mattarella che domani riceverà al Quirinale Conte poche ore prima dell'incontro che avrà con Juncker insieme al ministro Tria. Segnali di «buona volontà» che il commissario agli Affari Economici Pierre Moscovici ha ieri di nuovo sottolineato dicendo anche che il governo «è ad un passo nella buona direzione ma serve trovare impegni concreti, cifre, se vogliamo cambiare la nostra analisi» sulla manovra.

Una sorta di ultimatum che presuppone la richiesta di un nuovo impegno scritto che certifichi il cambio di rotta promesso da Conte. Il problema è che mentre Conte e Tria cercano di convincere i due vicepremier che la sfida con l'Europa rischia di provocare gravi danni al Paese e che l'Italia non è la Francia e tantomeno il Regno Unito, Di Maio non molla. Reduce dall'incontro - al limite della rampogna - con Beppe Grillo di domenica, il leader M5S non intende concedere altri tagli al Reddito e si giova del sostegno di Salvini al quale piacerebbe non poco una campagna elettorale tutta giocata sull'Europa che punisce l'Italia per due zero virgola in più. Anche il leader del Carroccio gioca la sua partita e - malgrado abbia accettato cospicui tagli a Quota 100 - sotto al 2,2% non sembra voler concedere quasi temendo che Bruxelles alla fine possa accettare il 2 o magari anche il 2,1%.


Nella surreale corsa a marcarsi rientra anche la rincorsa all'incontro con le parti sociali. Sindacati ed imprenditori, ignorati sino a qualche giorno fa, hanno avanzato le loro richieste e tra Salvini e Di Maio è scattata anche la corsa ad intestarsi le misure che dovrebbero essere finanziate con quello che si risparmia dalla riduzione del deficit postato - la notte del balcone - al 2,4%. Ma se discussioni con l'Italia continuano, per evitare una conclusione negativa «se possibile», come sostiene Moscovici, vuol dire che a Bruxelles non ci sono sconti da attendersi e che le difficoltà oggi di Macron e ieri della Merkel, non aiutano l'Italia. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero