Corruzione, Nordio pronto alla svolta: «Impunità al corruttore se decide di collaborare con i pm»

La linea del Guardasigilli per la riforma: «Le leggi attuali sono inutili o dannose»

Svolta Nordio: «Impunità al corruttore se decide di collaborare con i pm»
«Abolire» o rivedere radicalmente le leggi sulla corruzione, che si sono rivelate «inutili e dannose» perché hanno puntato su un inasprimento delle...

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«Abolire» o rivedere radicalmente le leggi sulla corruzione, che si sono rivelate «inutili e dannose» perché hanno puntato su un inasprimento delle pene, che non porta risultati. Nel pieno rispetto di quello che fu il suo primo annuncio da ministro della Giustizia un mese e mezzo fa, all’uscita dal giuramento al Quirinale, Carlo Nordio si dice ormai pronto ad intervenire su una delle note più dolenti del sistema Italia.


E così, alla vigilia della presentazione delle sue linee programmatiche in Senato (prevista per questa mattina alle ore 11), durante un convegno alla Farnesina nella giornata internazionale contro la corruzione, Nordio anticipa una parte di quale sarà la sua strategia contro un fenomeno che ha un impatto negativo sulla nostra economia pari a 237 miliardi di euro: spezzare il legame tra corrotto e corruttore.

 

 

LA RIFORMA

Se nei giorni scorsi, incontrando i sindaci, il ministro aveva aperto alla loro proposta di intervenire sull’abuso d’ufficio e sulla sospensione automatica degli amministratori condannati in primo grado prevista dalla legge Severino, ieri Nordio ha infatti chiarito come la sua riforma riguarderà in primis il reato di corruzione: «Oggi corrotto e corruttore sono tutti e due punibili e quindi hanno interesse a tacere quando vengono interrogati dal magistrato. Bisognerebbe interrompere questa convergenza di interessi e far sì che chi ha pagato sia indotto a collaborare, attraverso l’impunità, o una profonda revisione dello stesso reato di corruzione». L’intento è «fare in modo che uno dei due collabori, altrimenti è un reato di cui sapremo mai nulla». E non può essere «la minaccia della galera a indurre una persona a parlare». Così, avverte Nordio, «cadremmo nella barbarie giuridica».

Ad intervenire sull’argomento alla Farnesina sono in realtà tre ministri. Oltre a Nordio infatti, il padrone di casa Antonio Tajani ha annunciato che al prossimo G7 chiederà la costituzione di un gruppo di lavoro anti-corruzione. Il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi invece, ha assicurato la massima attenzione sulle centinaia di miliardi di euro del Pnrr, che ovviamente fanno gola anche alle mafie. A fare scalpore è però proprio l’intervento del Guardasigilli che di fatto mette in discussione la linea seguita negli ultimi 25 anni nel contrasto alla corruzione e, facendo leva sulla sua esperienza di pm e sulle sue indagini sul Mose, prova a dare uno scossone al sistema ricordando come quello di Venezia sia «il più grande episodio di corruzione nazionale», con risorse «sprecate o devolute alla corruzione attorno al miliardo di euro». 

 

IL PARADOSSO

Un quadro difficile che, appunto, impone una riforma radicale. «In questi 25 anni sono state elaborate varie leggi anticorruzione, sono state inasprite pene, ma non è servito a nulla - spiega l’inquilino di via Arenula - La conclusione che ho maturato è che è inutile cercare di intimidire il potenziale corrotto: non lo sarà mai dal numero delle leggi e dall’asprezza delle pene, perché sarà sempre convinto di farla franca». Occorre al contrario «togliergli le armi che lo inducono a farsi corrompere. E queste armi sono paradossalmente le leggi», dice Nordio. Nella Penisola infatti la produzione normativa è «10 volte superiore alla media europea». Un fattore che secondo l’ex pm non garantisce più sicurezza, anzi, causa maggiore «confusione nella individuazione delle competenze e delle procedure. Se una persona deve bussare a 100 porte per ottenere un provvedimento, aumenta in modo esponenziale la possibilità che una porta resti chiusa, sinché qualcuno si presenterà dal cittadino che bussa e gli chiederà o gli imporrà di ungere la serratura». La soluzione è però, appunto, pronta. Come? Sotto forma dell’annunciata «delegificazione rapida e radicale», per «ridurre le leggi» ma anche «individuare bene le competenze e semplificare le procedure».
 

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Il Messaggero