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Il quarto tentativo di scrivere una legge sull’autonomia differenziata chiesta dalle Regioni del Nord, porta la data del 20 gennaio. Il testo sarà esaminato oggi dal pre-consiglio dei ministri, con l’obiettivo di portarlo alla riunione di giovedì del governo. Il nuovo testo è un provvedimento di dieci articoli, che prova a cambiare rotta su diverse lacune delle precedenti bozze (molte delle quali evidenziate dal Messaggero), ma che alla fine cambia poco la sostanza. Le Regioni potranno chiedere tutte e 23 le materie. E senza la necessità di dover motivare le ragioni della richiesta. Potranno essere regionalizzate le competenze sulle reti energetiche, sulle infrastrutture stradali e ferroviarie, sull’istruzione, sulla previdenza complementare. Un’impostazione contestata anche da Confindustria. Su due punti centrali, poi, passi avanti non ce ne sono: il ruolo del Parlamento, che resta marginale, e il finanziamento dei Lep, i livelli essenziali delle prestazioni che dovrebbero essere garantiti a tutti i cittadini italiani, che restano per il momento senza risorse. Partiamo da questi ultimi.
Sui Lep si continuerà a procedere a colpi di Dpcm, come fatto durante la pandemia per le misure emergenziali. Sui servizi essenziali da garantire a tutti i cittadini, le Camere (non più le Commissioni per gli Affari Regionali come nella precedente bozza), saranno chiamate ad esprimere un parere entro 45 giorni (15 in più della versione antecedente). Ma poi il governo potrà adeguarsi o meno ai rilievi del Parlamento. Soprattutto non va dimenticato che i Dpcm sono atti amministrativi che possono essere impugnati al Tar, ma non davanti alla Corte Costituzionale. C’è un secondo passaggio che riguarda i Lep, che è ancora più rilevante: quello delle risorse. Per garantire che scuola, sanità, trasporti, abbiano un livello di qualità simile al Centro-Sud come al Nord, servono risorse. E molte. Invece anche nell’ultima bozza, Veneto e Lombardia potranno procedere con l’autonomia anche prima che queste risorse per ridurre i divari siano stanziate.
L’articolo 4 della nuova bozza non fa passi avanti, e prevede ancora che «il trasferimento delle funzioni» alle Regioni del Nord possa essere effettuato «dopo la determinazione» dei Lep e nono dopo la loro «attuazione». L’autonomia, insomma, viene prima del recupero dei divari tra le varie aree del Paese. Sulle risorse per i Lep, anzi, si fa addirittura un passo indietro. Il loro finanziamento non viene più affidato alla legge annuale di Bilancio (criterio già ballerino), ma genericamente alla legge. Che si tratti di uno dei passaggi più complessi sulla via dell’autonomia, lo si capisce fin dalle premesse della legge Quadro. Il nuovo testo continua a definire i Lep come «la soglia costituzionalmente necessaria» e «nucleo invalicabile» per rendere effettivi i diritti e per erogare le prestazioni sociali di natura fondamentale. Una definizione che era stata già presa di mira dall’Ufficio parlamentare di Bilancio. L’Authority dei conti pubblici aveva fatto notare come, rispetto alla giurisprudenza costituzionale, mancasse un inciso. Ossia che i Lep dovessero indicare il nucleo invalicabile «di garanzie minime». Inserendo queste tre parole, secondo l’Upb, si obbligherebbe lo Stato a finanziare i livelli essenziali delle prestazioni su tutto il territorio.
IL PASSAGGIO
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