Leonardo Sciascia, quello scrittore che disse "no" a Sergio Leone

Leonardo Sciascia e l'amore per il cinema tra grandi opere e progetti incompiuti
Nel gennaio del 1984 Leonardo Sciascia venne intervistato da un giovane Giuseppe Tornatore. Parlarono di letteratura e cinema. A un certo punto Sciascia disse che lui volentieri...

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Nel gennaio del 1984 Leonardo Sciascia venne intervistato da un giovane Giuseppe Tornatore. Parlarono di letteratura e cinema. A un certo punto Sciascia disse che lui volentieri avrebbe scritto direttamente per il cinema e, del resto, qualche anno dopo in un articolo ricordava che fin oltre i vent'anni sognai di fare il regista, il soggettista, lo sceneggiatore.


Sono facilmente rintracciabili pure su internet i riferimenti a certe collaborazioni dello scrittore di Racalmuto con il mondo del cinema e della televisione. Non sono poche le pellicole tratte da racconti e romanzi di Sciascia, ma non è tutto. Sciascia lavorò alla sceneggiatura del film Bronte di Florestano Vancini, scritto insieme a Fabio Carpi e allo stesso Vancini; collaborò anche alla realizzazione de La smania addosso di Marcello Andrei, una commedia del 1963 con attori di un certo prestigio (Vittorio Gassmann e Gino Cervi, fra gli altri); lavorò anche con il regista Enzo Muzii per due sceneggiati realizzati dalla RAI: Alle origini della mafia e La singolare avventura di Francesco Maria, da un racconto di Vitaliano Brancati. Ma ci furono altri progetti non portati a termine che emergono dagli archivi di casa Sciascia e dalle memorie familiari. E per fortuna spesso Sciascia, scrivendo a macchina, usava la carta carbone e conservava una copia dei suoi dattiloscritti.

LA LETTERA
Da una lettera allo scrittore calabrese Mario La Cava del 2 agosto 1959: «Sono stato, nel giro di un mese, due volte a Roma, improvvisamente chiamato (il cinematografo: un film sui Mille)». Il film di cui si parla, in fase di progettazione nel 1959, è Viva l'Italia di Roberto Rossellini, uscito due anni dopo. Nessun riferimento nei titoli a Sciascia che però conservò il suo lavoro, sessantadue fogli dattiloscritti: tre grandi scene, alla fine per qualche ragione escluse dal film, che dovevano dare un'immagine della Sicilia al momento dell'arrivo di Garibaldi. Una scena si svolge nella prigione di Palermo, quando carcerati e carcerieri, inquieti, attendono gli uomini in camicia rossa; un'altra sembra la versione sceneggiata di un racconto pubblicato qualche anno dopo dallo stesso Sciascia, Il silenzio: alcune decine di uomini fra i Mille, inseguiti dal grosso dell'esercito borbonico dopo la battaglia di Calatafimi, riparano nel paese di Sambuca e solo per caso non scoppia un furioso scontro con i soldati nemici; infine un altro blocco di fogli, dove fra gli altri compaiono lo scrittore Alexandre Dumas, il generale ungherese István Türr e un nobile siciliano che pare uscito da un altro racconto di Sciascia, Il quarantotto.

All'inizio degli anni Sessanta il regista Alessandro Blasetti chiese allo scrittore siciliano, il cui successo proprio in quel momento iniziava a crescere, la revisione dei dialoghi della versione cinematografica di Liolà, protagonista Ugo Tognazzi. Ma fu alla fine degli anni Sessanta che il legame fra Sciascia e il cinema si fece più intenso: del resto, nel 1967 uscì il film di Elio Petri tratto da A ciascuno il suo e nel 1968 il film di Damiano Damiani da Il giorno della civetta.

L'ARTICOLO
In un articolo pubblicato dal quotidiano L'Ora nel 1968, il giornalista Mauro De Mauro scrive che Sciascia «ha creato in questi giorni una storia cinematografica su Serafina Battaglia, la donna che nelle aule giudiziarie ha sfidato la mafia per mandare all'ergastolo gli assassini di suo figlio». Il film doveva essere realizzato da Carlo Lizzani e ancora sulla rivista Amica, un anno dopo, viene segnalato che il film Vedova della mafia, su soggetto originale di Sciascia e diretto da Lizzani, è in preparazione. Il film non si fece mai. Ma il «blocco di cartelle sul tavolo ricolmo di fogli vergati e dattiloscritti» (come scrive De Mauro nell'articolo) venne conservato da Sciascia. La vicenda di Serafina Battaglia è raccontata in maniera romanzata e l'inizio del testo, con una serie di uccisioni, dispiega una sequenza che si può dire anticipi pellicole poliziesche dei decenni successivi: un uomo assassinato nei giardini della Conca d'oro; un altro uomo, davanti a una casa in costruzione, viene ucciso mentre segue i lavori; un'altra vittima al mercato della Vucciria, fra sigarette di contrabbando; un fioraio davanti al teatro Massimo; un altro uomo nella bottega di un pescivendolo; un altro davanti al portone di casa; un altro in un'officina per automobili (e stavolta la vittima prima di cadere prova a difendersi tirando fuori una pistola).

Nel 1968, Sciascia riceve una giovane Lina Wertmüller. Ancora oggi una delle figlie di Sciascia, Anna Maria, ricorda l'incontro: Lina Wertmüller andò a trovare Sciascia a casa, a Palermo. Parlarono. Lo scrittore scrisse subito qualche pagina. Lina Wertmüller, sorpresa dalla rapidità di Sciascia, prese i fogli dicendo che presto avrebbe dato notizie o riscontri. Anna Maria Sciascia non ricorda (o non ascoltò) la conversazione. Nel marzo del 2018 ho incontrato Lina Wertmüller, ma non ricordava nulla di quell'episodio ormai lontano. In una lettera del maggio 1970 la regista fa riferimento all'incontro di due anni prima: «Caro Sciascia, si ricorda ancora di quella pazza che venne a romperle le scatole a Palermo in un giorno ormai lontano di due anni fa?». E più avanti aggiunge: «La cosa nata per un film - ricorda quelle pagine che lei mi buttò giù in pomeriggio? - si è completamente trasformata».
LA TESTIMONIANZA
Quanto scritto da Lina Wertmüller conferma la testimonianza di Anna Maria Sciascia. Non ci sono elementi certi che al momento possono far stabilire quale sia il testo che Sciascia consegnò alla regista. Fra i documenti conservati da Sciascia nel suo studio si trovano quattro fogli dattiloscritti, una trama con al centro un delitto di mafia: una giovane siciliana all'ultimo anno di liceo che, in campagna con il fidanzato, per caso assiste a un omicidio, ma né il ragazzo né i parenti vogliono che lei parli con la polizia e la tensione cresce con il passare delle settimane finché lei prende l'aereo per proseguire gli studi a Milano e accade un evento imprevisto... Il racconto potrebbe benissimo essere il soggetto che Sciascia diede alla Wertmüller (da altri punti della lettera viene fuori che si era parlato di un film di mafia), tranne che non sia un'idea che lo scrittore di Racalmuto buttò giù ma poi lasciò perdere o il soggetto cinematografico scritto in un'altra occasione di cui però non so nulla.

Fra gli anni Sessanta e anni Settanta le idee discusse non furono poche: contatti con Andrea Camilleri attorno all'idea di realizzare uno sceneggiato Rai sul processo Notarbartolo e con Gianni Grimaldi per lavorare alla sceneggiatura del film ispirato a La governante di Brancati. Ancora negli anni Settanta, probabilmente stimolato pure dall'amicizia con il regista Enzo Muzii, Sciascia accarezza l'idea di scrivere una sceneggiatura ispirata al romanzo I sotterranei del Vaticano, di André Gide; inoltre, nel 1977, mettendo in evidenza il sessantesimo anniversario della morte di Federico De Roberto, Sciascia e Muzii discutono di un progetto da presentare alla Rai: uno sceneggiato televisivo in cinque puntate tratto dal romanzo I viceré.
E ancora: nel 1972 tocca a Sergio Leone e nel 1978 a Michelangelo Antonioni.
Sciascia e Leone probabilmente parlarono nei primi mesi del 1972. Il film in questione sarebbe diventato C'era una volta in America, realizzato ben dodici anni dopo, ma è noto che la gestazione del film fu assai lunga. Nell'archivio di casa Sciascia si conserva una bozza di contratto, datata 8 marzo 1972, e il titolo previsto per il film è C'era una volta l'America. A quella data, si capisce dalla bozza, lo scrittore e il regista hanno già parlato, ma forse non a lungo e solo al telefono. Si incontrano qualche settimana dopo. Leone soggiorna a Palermo e viene fissato un appuntamento. Sciascia va accompagnato dallo scrittore Vincenzo Consolo. Proprio dalla viva voce di Consolo, anni fa, ho ascoltato il racconto dell'incontro: Leone parlò a lungo, Sciascia ascoltò; poi Sciascia disse semplicemente che la proposta non gli interessava. Forse Sciascia durante l'incontro ebbe la sensazione che la collaborazione non potesse realizzarsi in modo sereno e fruttuoso. Lo scrittore di Racalmuto quindi rinunciò a lavorare al progetto nonostante l'idea avesse avuto su di lui una qualche seduzione. Fra i dattiloscritti di Sciascia infatti si trova un dialogo immaginario fra due interlocutori, che si può supporre nato dopo la prima conversazione con Leone: verosimilmente per Sciascia scrivere il testo fu un modo per iniziare a ordinare, innanzitutto dentro di sé, l'idea da sviluppare. Il testo copre ben diciassette fogli e il tema è proprio il progetto di Leone:
«- E che cosa vi interessa, dunque, del soggetto, dell'idea di Sergio Leone?
- Mi interessa la trama in cui viene attirato il nostro eroe e alla quale finirà col reagire al punto da sconvolgerla. E vi dico subito che è una trama di potere.
- Già: come dubitarne, da voi? Il potere, naturalmente... E a Leone credete interessi la stessa cosa?
- A Leone interessano innanzi tutto i sentimenti semplici e che una volta si dicevano eterni: e intende sempre salvarli, anche nelle situazioni più ignobili o spietate, a riscatto dei suoi spietati o ignobili eroi».

DETTAGLI
Man mano che il dialogo va avanti chi legge vede emergere scene, personaggi e dettagli della storia, nella quale si intrecciano elementi del film del 1984 e caratteristiche della narrativa di Sciascia. Già nei racconti brevi La frode e Gioco di società (che infatti all'inizio doveva essere il soggetto per un film di Elio Petri) la formula adottata da Sciascia era stata quella della narrazione di un avvenimento o di una serie di avvenimenti attraverso il dialogo di due personaggi.

Infine, arriviamo al 1978. Bernardo Bertolucci parlò con Sciascia di un progetto di Michelangelo Antonioni. Il film doveva intitolarsi Patire o morire. La cosa un poco stupisce perché vent'anni prima Antonioni aveva chiesto a Sciascia di collaborare alla sceneggiatura del film L'avventura, ma Sciascia dopo aver letto il testo si era rifiutato perché per nulla convinto (sulla vicenda del 1959 hanno di recente scritto Roberto Andò e Gabriele Rigola); e in più di un'occasione Sciascia non risparmiò critiche al cinema di Antonioni. Eppure nel 1978 lo scrittore sembra non respingere l'idea di una collaborazione. La sceneggiatura di Patire o morire arriva nella casa di campagna, a Racalmuto, e Antonioni si dice contento che Sciascia abbia preso in considerazione l'idea di collaborare alla stesura definitiva. E fra le pagine del copione si trova un foglietto con la grafia di Sciascia in cui sono annotati il numero di telefono di Antonioni e l'indirizzo di Bertolucci. Non so se ci sia stato un seguito, certo è che Antonioni non girò mai il film Patire o morire.
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Il Messaggero