Dopo l'attacco agli impianti petroliferi sauditi, l'impatto sui prezzi del petrolio per ora resta limitato. «Ma attenzione. L'ipotesi da non escludere è...
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Che conseguenze avrebbe sul portafogli degli italiani?
«Pochi giorni fa ho visto la super a due euro al litro fuori dal raccorto anulare, in caso di conflitto diventerebbe la regola. Nei prossimi giorni registreremo aumenti nell'ordine dei due, tre centesimi al litro, entro quindici giorni la benzina passera da 1,55 a 1,60 euro al litro, il gasolio da 1,45 a 1,50 euro. Al momento la situazione è sotto controllo: c'è tanto petrolio, un eccesso di offerta da circa un anno, tutto dipenderà dal tempo necessario per riparare i danni ai pozzi. Se dovessero servire settimane, mancherebbero volumi importanti e potremmo andare verso quota 80-100 dollari al barile nell'arco di qualche mese. Oggi l'Arabia dovrebbe comunicare i dettagli con precisione, nel frattempo dispone di altri giacimenti poco utilizzati e scorte in abbondanza a cui si aggiungono quelle strategiche negli Usa e in Europa».
Il presidente Donald Trump ha offerto supporto al principe saudita. Preoccupa una rappresaglia dell'Iran?
«Sì. Il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman vuole una linea dura, l'Iran da parte sua soffre le severe sanzioni imposte dagli americani. All'interno del Paese agiscono forze centrifughe che sfuggono al governo centrale che non vuole interventi, i guardiani della rivoluzione possono sostenere i ribelli Houthi e il presidente Trump potrebbe essere trascinato in guerra. L'Iran ha un reddito pro capite che sta crollando, 80 milioni di abitanti che sono più del doppio dell'Arabia, tantissimi giovani per i quali le sanzioni rappresentano un giogo. Quanto all'Arabia Saudita, è il terzo Paese al mondo per spese militari. Ora è particolarmente esposta e questo è un fattore di incertezza, poiché tutto l'approvvigionamento internazionale ne risente. Se viene colpita l'Arabia, tutto il mondo sanguina».
Gli Houthi non disponevano gli armi sofisticate, adesso invece hanno droni in grado di percorrere quasi mille chilometri.
«I miliziani si stanno dimostrando capaci di compiere azioni militari importanti, nei prossimi giorni è probabile un peggioramento dello scenario. Vedremo se l'irrequieto, irruento e fuori controllo principe Mohammed bin Salman attuerà o meno ritorsioni violente. Se la situazione dovesse degenerare, rischieremmo di piombare in un circolo vizioso di attentati».
Chi ha il pallino in mano?
«Adesso dipende da Trump, che però è in trappola. È stato lui a voler imporre sanzioni severissime, un po' per le pressioni dei Repubblicani ma anche per sconfessare ciò che aveva fatto di buono Barack Obama. Questo tuttavia spinge i gruppi ribelli a forzare l'azione militare e indirettamente gli Stati Uniti che verrebbero coinvolti. Nessun presidente americano vorrà mai più dislocare truppe in Medio oriente per difendere il petrolio, dato che il Paese ne ha in abbondanza e lo sta esportando. Donald Trump sembrava disposto a riaprire trattative con l'Iran, lo spiraglio si è di nuovo chiuso». Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero