Roma, l'origine del Gra: ecco perché il Raccordo si chiama così

Roma, l'origine del Gra: ecco perché il Raccordo si chiama così
Il Grande Raccordo Anulare, in realtà, si chiama Eugenio. Eugenio nasce nel 1886; vive 87 anni; aveva nove fratelli, nati da Luigi ed Elena Mansueti. Il loro cognome,...

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Il Grande Raccordo Anulare, in realtà, si chiama Eugenio. Eugenio nasce nel 1886; vive 87 anni; aveva nove fratelli, nati da Luigi ed Elena Mansueti. Il loro cognome, appunto, era Gra. Ed è lui a pensare alla enorme arteria, lunga più di 68 chilometri, percorsa ogni anno quasi da 60 milioni di veicoli, croce e ben poco delizia di milioni di pendolari e non soltanto: nel dopoguerra, era il capo di Gabinetto del ministro dei Lavori pubblici Giuseppe Romita, e poi diventa il primo direttore generale dell'Anas. Come tale, provvede alla circonvallazione della Capitale, il cui acronimo è un pur non dichiarato omaggio proprio a lui, anche se pochi lo conoscono o lo ricordano. Non si poteva intitolargliela: la legge prevede infatti che lo si possa fare solo quando una persona è defunta da almeno dieci anni, e non era certo il caso; lui, era ancora assai attivo. Dal 1988, la Capitale gli ha tuttavia dedicato una via: non sul suo Raccordo ma, a sfondo cieco, all'Aurelio, quasi nella campagna, non lontano dalla Pisana. Dunque, la grande strada chiamata Eugenio, e il tecnico che più di chiunque l'ha propugnata, e l'ha anche progettata.


LA FAMIGLIA
Giulio, il più giovane (14 anni meno di Eugenio), con un altro fratello, Enrico, comincia a costruire quando ancora studia all'Università. Si laurea a 22 anni; a 25 fonda una impresa di famiglia, ma senza Eugenio: lui le preferisce un pubblico impiego. Di quest'ultimo, si sa ben poco: rimosso perfino (ma chissà perché) un suo profilo dall'enciclopedia in Internet. Di Giulio sappiamo invece che ebbe per maestri nomi famosi: Guglielmo Calderini (progettista anche del pur infelice «Palazzaccio» di Giustizia), Pietro Aschieri (lo ritroviamo nella Città Universitaria e all'Eur) e Gustavo Giovannoni (suoi, per esempio, gli stabilimenti della Birra Peroni); edifica vari immobili: soprattutto al Flaminio.

LA GRANDE STRADA
Alla modernità, intendeva coniugare la tradizione; lavora molto anche a via Mangili e a via di Villa Sacchetti. La sua opera più famosa è però al Flaminio, sul Tevere: è detta «fortezza navigante», ed è stata sfondo di una scena in Caro Diario di Nanni Moretti. Mentre il Raccordo ha meritato un intero film: il Sacro Gra di Gianfranco Rosi, Leone d'oro alla mostra di Venezia del 2013. Giulio abbandona volontariamente la professione nel 1939; anche l'impresa cessa l'attività. Qualcuno lo ricorda angosciato dalla situazione politica e dalle persecuzioni razziali. Se ne è andato nel 1958. Il primo a volere l'ampliamento dell'Urbe fuori dalle Mura Aureliane è l'architetto Edmondo Sanjust, autore del Piano regolatore del 1909. Al Raccordo, invece, si pensa dopo la seconda Guerra: è finita da poco, e il Consiglio superiore dei Lavori pubblici ne approva uno «Schema progettuale». Allora, tante perplessità: strada troppo lunga e costosa, non rispondente ai bisogni della città, troppo lontana (25 km) dal centro. Si era ancora in aperta campagna: non fu improbo costruirla. Si parte nel 1948; prima tratta aperta, tra Portuense e Appia, nel 1951; diventa a tre corsie per senso di marcia nel 2011; il primato del flusso veicolare supera i 170 mila veicoli al giorno.

SITI FAMOSI

Non lontani dai due bordi del Raccordo, vi sono vari luoghi famosi: dalla villa dei Casamonica, a Corviale, alla chiesa di Scientology «di Roma e del Mediterraneo». Subito fuori, il Ponte di Mezzocammino sul Tevere: dove le barche che lo risalivano venivano trainate, da riva, per mezzo di buoi. E tanto altro ancora. Non a caso, ci hanno fatto un film; Marco Lodoli una serie di racconti; Corrado Guzzanti una parodia (indimenticabile) di Antonello Venditti; Fellini la scena di un maxi-ingorgo in Roma; Max Pezzali lo canta in Chiuso in una scatola. E ora, qualcuno vuole farne un altro, ancor più esterno. Quando vi sarete bloccati (come spesso accade), pensate, però, che il Gra si chiama Eugenio: ha il cognome del suo progettista. L'attesa sarà, si spera, un po' più lieve.
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Il Messaggero