«Non resteremo soli», la Superba Genova vuole reagire ancora

«Non resteremo soli», la Superba Genova vuole reagire ancora
Il giornalista della TV Svizzera risale sul pullmino col suo operatore. Forse resterà fino a domani, fino ai funerali delle vittime di ponte Morandi. Forse no. Sono...

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Il giornalista della TV Svizzera risale sul pullmino col suo operatore. Forse resterà fino a domani, fino ai funerali delle vittime di ponte Morandi. Forse no. Sono quarant’anni che a Genova i giornalisti vanno e vengono solo per le tragedie: il terrorismo degli anni 80, la crisi del porto a inizio 90, le alluvioni. Stavolta, però, qualcosa di diverso si intercetta. «Il ponte Morandi si è spezzato, ma Genova no, non si spezza - dice l’assessore regionale alla Cultura Ilaria Cavo - Mi hanno chiamato gli artisti, Dori Ghezzi Gino Paoli, Luca Bizzarri... Vogliono tutti fare qualcosa per le famiglie che hanno perso i parenti o la casa. mi dicono tutti la stessa cosa: il ponte è una ferita ma Genova non si pieghera». 


Savina Scerni, moglie dell’armatore, è un romana che per amore ha scelto Genova. Con caparbietà e tigna ha impedito che uno storico teatro, il Politeama, diventasse l’ennesimo supermercato genovese Invita ad avere fiducia «Basta con la storia della città sfigata. È successa una cosa troppo grave. Non possono lasciare Genova divisa a metà. Stavolta non ci abbandoneranno».

LA SUPERBA
Non ora, con i turisti che cominciavano a riscoprirne la nascosta bellezza e il centro storico è tirato a lucido. Già troppe volte Genova si è ripiegata su se stessa. Era la Superba, poi le lotte intestine tra grandi famiglie la indebolirono al punto da concedere a Venezia, l’altra Repubblica marinara, la feroce vittoria nelle acque di Chioggia. Seguirono decenni di buio culminati nella decisione di affidarsi ai francesi per sedare le competizioni tra potenti locali.

Alti e bassi si sono alternati fino agli anni 70 del secolo scorso. Da allora, invece, il declino non si è più fermato. «Nel 1971 si progettava una città da un milione di abitanti. Oggi ce ne sono cinquecentomila - osserva Mario Bottaro, giornalista e cultore della storia della sua città -. Il declino di Genova è fatto di belle proposte che non diventano mai realtà perché si perdono decenni per discuterle e al momento di realizzarle risultano superate».
È stato così per l’alta velocità, la linea che doveva (dovrebbe?) collegare Genova a Milano in quaranta minuti. Grandi dibattiti a metà anni 80 e nulla di fatto. È stato così per la collina degli Erzelli, Doveva diventare il polo tecnologico e scientifico, la risposta italiana alla francese Sofia Antipolis ma hanno impiegato decenni e nonostante l’enorme investimento della locale banca Carige (servito forse a puntellare le fortune di qualche imprenditore locale), la promessa non è decollata.

SEMPRE AVANTI
Da sempre Genova anticipa il resto d’Italia. Qui il declino demografico è cominciato nel tardo 500. Il terrorismo si è fatto conoscere col sequestro Sossi. Ma adesso, davanti al ponte Morandi spezzato in due, i genovesi si dichiarano stufi. Dignitosamente stufi di piangersi addosso. Anche in via Fillak, dove la gente aspetta di sapere se la propria casa, pochi metri più in giù, sarà abbattuta o salvata, nessuno piange e nessuno alza la voce. «Ho ancora vent’anni di mutuo da pagare» dice con amarezza Pasquale Piras. Qui, ex zona operaia dove l’immigrazione dal sud Italia convive con quella albanese e maghrebina, dove la macelleria Said è accanto al vecchio bar xeneise, tutti temono che i negozi abbassino la saracinesca per i funerali delle vittime di ponte Morandi e non la ritirino più su. Un cartello propone con l’enfasi dei tre punti esclamativi un appartamento in vendita a trentacinquemila euro. A quanto scenderà il prezzo se non si sbrigano a ricostruire il ponte? 


Da romana diventata genovese Savina Scerni dice che stavolta si sbrigheranno: «È un’emozione troppo grande per una città già tante volte provata. Ci vorrà tempo ma non ci abbandoneranno». Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero