Il giornalista della TV Svizzera risale sul pullmino col suo operatore. Forse resterà fino a domani, fino ai funerali delle vittime di ponte Morandi. Forse no. Sono...
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Savina Scerni, moglie dell’armatore, è un romana che per amore ha scelto Genova. Con caparbietà e tigna ha impedito che uno storico teatro, il Politeama, diventasse l’ennesimo supermercato genovese Invita ad avere fiducia «Basta con la storia della città sfigata. È successa una cosa troppo grave. Non possono lasciare Genova divisa a metà. Stavolta non ci abbandoneranno».
LA SUPERBA
Non ora, con i turisti che cominciavano a riscoprirne la nascosta bellezza e il centro storico è tirato a lucido. Già troppe volte Genova si è ripiegata su se stessa. Era la Superba, poi le lotte intestine tra grandi famiglie la indebolirono al punto da concedere a Venezia, l’altra Repubblica marinara, la feroce vittoria nelle acque di Chioggia. Seguirono decenni di buio culminati nella decisione di affidarsi ai francesi per sedare le competizioni tra potenti locali.
Alti e bassi si sono alternati fino agli anni 70 del secolo scorso. Da allora, invece, il declino non si è più fermato. «Nel 1971 si progettava una città da un milione di abitanti. Oggi ce ne sono cinquecentomila - osserva Mario Bottaro, giornalista e cultore della storia della sua città -. Il declino di Genova è fatto di belle proposte che non diventano mai realtà perché si perdono decenni per discuterle e al momento di realizzarle risultano superate».
È stato così per l’alta velocità, la linea che doveva (dovrebbe?) collegare Genova a Milano in quaranta minuti. Grandi dibattiti a metà anni 80 e nulla di fatto. È stato così per la collina degli Erzelli, Doveva diventare il polo tecnologico e scientifico, la risposta italiana alla francese Sofia Antipolis ma hanno impiegato decenni e nonostante l’enorme investimento della locale banca Carige (servito forse a puntellare le fortune di qualche imprenditore locale), la promessa non è decollata.
SEMPRE AVANTI
Da sempre Genova anticipa il resto d’Italia. Qui il declino demografico è cominciato nel tardo 500. Il terrorismo si è fatto conoscere col sequestro Sossi. Ma adesso, davanti al ponte Morandi spezzato in due, i genovesi si dichiarano stufi. Dignitosamente stufi di piangersi addosso. Anche in via Fillak, dove la gente aspetta di sapere se la propria casa, pochi metri più in giù, sarà abbattuta o salvata, nessuno piange e nessuno alza la voce. «Ho ancora vent’anni di mutuo da pagare» dice con amarezza Pasquale Piras. Qui, ex zona operaia dove l’immigrazione dal sud Italia convive con quella albanese e maghrebina, dove la macelleria Said è accanto al vecchio bar xeneise, tutti temono che i negozi abbassino la saracinesca per i funerali delle vittime di ponte Morandi e non la ritirino più su. Un cartello propone con l’enfasi dei tre punti esclamativi un appartamento in vendita a trentacinquemila euro. A quanto scenderà il prezzo se non si sbrigano a ricostruire il ponte?
Da romana diventata genovese Savina Scerni dice che stavolta si sbrigheranno: «È un’emozione troppo grande per una città già tante volte provata. Ci vorrà tempo ma non ci abbandoneranno». Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero