Cucchi fu ucciso, 12 anni ai due carabinieri del pestaggio. Ilaria: «Stefano può riposare in pace»

Stefano Cucchi fu pestato da due carabinieri. Ad ucciderlo sono stati loro. È la verità sancita dalla Corte d'assise di Roma che arriva dopo dieci anni...

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Stefano Cucchi fu pestato da due carabinieri. Ad ucciderlo sono stati loro. È la verità sancita dalla Corte d'assise di Roma che arriva dopo dieci anni dall'ottobre 2009, quando il 33enne fu arrestato a Roma per droga e fu restituito senza vita ai suoi familiari una settimana dopo. Solo un'ipotesi per tanto tempo, ma che ora è diventata storia giudiziaria, pronunciata attraverso una sentenza di tre pagine lette nell'aula bunker del carcere capitolino di Rebibbia, dal presidente della Corte d'Assise. E nel giorno in cui i medici escono di scena, forse definitivamente, i riflettori restano puntati solo su due militari dell'Arma: Raffaele D'Alessandro Alessio Di Bernardo, i carabinieri della stazione Appia che durante il fotosegnalamento picchiarono Stefano tanto violentemente da portarlo una settimana dopo alla morte. Sono stati condannati ciascuno a 12 anni di carcere per omicidio preterintenzionale. La stessa accusa cade invece per Francesco Tedesco, l'imputato che nel 2018 decise di parlare e di raccontare quanto aveva visto nella caserma Casilina, dove ci fu il pestaggio. Tedesco è stato comunque condannato a due anni e mezzo per l'accusa di falso. Aldilà dell'omicidio, restano le responsabilità del maresciallo Roberto Mandolini per la falsificazione del verbale di arresto, condannato a tre anni e otto mesi di reclusione. Per TedescoMandolini Vincenzo Nicolardi, il quinto militare imputato, la contestazione di calunnia è stata riqualificata in falsa testimonianza.


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Una verità oggi più forte perché in pochi minuti è diventata doppia. Nello stesso giorno, quasi in contemporanea, è stato definito in Appello, per la terza volta, il processo che vedeva imputati cinque medici: per quattro è stato dichiarata la prescrizione del reato di omicidio colposo e il quinto è stato invece assolto.

In una bolgia di telecamere, di fronte ai giudici dopo la lettura della sentenza, 
Ilaria Cucchi si è stretta commossa in un abbraccio ai suoi genitori, Rita e Giovanni, e al legale Fabio Anselmo. Con loro, fin dal 2009, la sorella di Stefano ha percorso la lunga strada processuale che li ha portati al verdetto. «Mio fratello è stato ucciso, questo lo sapevamo e lo ripetiamo da dieci anni. Forse ora potrà risposare in pace», ha detto con gli occhi lucidi. Per la mamma sono stati «anni di dolore e di processi non veri».

Anche per 
Francesco Tedesco, unico imputato in aula, rimasto impassibile di fronte alla lettura della sentenza nonostante la tensione si leggesse sul suo volto, «è finito un incubo». Sono queste le uniche parole che ha poi detto al suo avvocato. Dopo qualche minuto è arrivata anche la voce ufficiale dell'Arma.

«Abbiamo manifestato in più occasioni il nostro dolore e la nostra vicinanza alla famiglia - ha detto il generale Giovanni Nistri, comandante generale dei carabinieri - Un dolore che oggi è ancora più intenso dopo la sentenza di primo grado della Corte d'Assise di Roma che definisce le responsabilità di alcuni 
carabinieri venuti meno al loro dovere, con ciò disattendendo i valori fondanti dell'Istituzione». Una frattura che forse proprio oggi, nel giorno della dura sentenza per alcuni esponenti dell'Arma, viene ricucita con un gesto semplice in pochi istanti. Un carabiniere si avvicina a Ilaria per baciarle la mano, quasi per chiederle scusa a nome di un'intera istituzione. «Chi sbaglia paga e doppiamente se porti la divisa - ha detto - quei due colleghi hanno infangato 200 anni di storia».



IL BACIAMANO DEL CARABINIERE
Subito dopo la sentenza visibilmente commosso un carabiniere ha fatto il baciamano a 
Ilaria Cucchi. «L'ho fatto perché finalmente dopo tutti questi anni è stata fatta giustizia», dice il militare mentre accompagna i genitori di Stefano Cucchi, anche loro commossi, fuori dall'aula di Rebibbia dove si è celebrato il processo.

LA MAMMA E LA SORELLA DI STEFANO CUCCHI
«Un po' di sollievo dopo 10 anni di dolore e di processi non veri». Così Rita Calore, madre di Stefano Cucchi dopo la sentenza di condanna dei due carabinieri abbracciando il marito. Ilaria Cucchi: «Ci sono voluti 10 anni per dire che Stefano non è morto di suo, per dire che non è caduto dalle scale ma che è morto perchè ammazzato di botte. Ora può riposare in pace». Così Ilaria Cucchi, sorella di Stefano, al termine della lettura della sentenza nell'aula Bunker di Rebibbia: «Ringrazio tutti gli uomini per bene delle forze dell'ordine».

IL LEGALE DELLA FAMIGLIA CUCCHI: «VERITÀ EVIDENTE»
«Mi auguro questa sentenza sia un segnale per la democrazia e per tutti i cittadini. Era una verità talmente evidente che è stata negata per troppo tempo». Lo ha detto Fabio Anselmo, legale della famiglia di Stefano Cucchi, subito dopo la sentenza nel processo bis per la morte del geometra romano, avvenuta nel 2009. «Io considero Mandolini corresponsabile quanto i due condannati per il reato. Vedremo le motivazioni della sentenza, la verità è che Stefano è morto per le percosse subite» ha concluso.

IL COMANDANTE NISTRI: «TRADITI I VALORI DEI CARABINIERI CHE RISCHIANO LA VITA»
«Traditi i valori dei carabinieri che rischiano la vita, come dimostra la cronaca recente». Così il comandante dell'Arma, generale Nistri, copo la sentenza di condanna dei militari implicati nel caso Cucchi.
 

IL LEGALE DI D'ALESSANDRO: «NON CI FU PESTAGGIO»
«Non ci fu pestaggio, ricorreremo in appello». Così il legale del carabiniere Raffaele D'Alessandro subito dopo la lettura della sentenza di condanna nell'aula Bunker di Rebibbia.

LA DIFESA DI TEDESCO: «LA CORTE GLI HA CREDUTO»
«Siamo soddisfatti sia per l'assoluzione dall'omicidio che per la calunnia che è stata riqualificata. La corte gli ha creduto: è stato un percorso partito con aspettative di legalità e finito con la realizzazione di queste aspettative». Così gli avvocati di Francesco Tedesco, Eugenio Pini e Francesco Petrelli.

LA DIFESA DI MANDOLINI:
«SENTENZA MEDICI CONTRASTA CON QUESTA»
«Non riesco a capire come si concilia questa sentenza sul piano tecnico-giuridico con quello che oggi la corte di assise d'appello ha dichiarato per i medici, ovvero la prescrizione: se Cucchi, secondo loro, non è escluso che sia morto per colpa dei medici come si può anche concepire una morte per omicidio preterintenzionale?» Così l'avvocato Giosuè Naso che difende Roberto Mandolini. «Leggeremo le motivazioni della sentenza e faremo appello: abbiamo aspettato 5 anni per farci riconoscere dalla Cassazione quello che dicevamo su Mafia Capitale avremo pazienza anche su questo», ha aggiunto l'avvocato Naso che è stato avvocato di Massimo Carminati.

PER I MEDICI UN'ASSOLUZIONE E 4 PRESCRIZIONI

Un'assoluzione e quattro prescrizioni. È quanto deciso dai giudici della Corte d'Assise di Appello di Roma per cinque medici dell'ospedale Sandro Pertini coinvolti nella vicenda di Stefano Cucchi. Assolta il medico Stefania Corbi. Accuse prescritte per il primario del Reparto di medicina protetta dell'ospedale dove fu ricoverato il geometra romano, Aldo Fierro, e altri tre medici Flaminia BrunoLuigi De Marchis Preite e Silvia Di Carlo. Per la Corbi la formula di assoluzione è «per non commesso il fatto». Per tutti il reato contestato è di omicidio colposo. Il processo ai medici del Pertini ha avuto un iter tortuoso.

Tutti furono portati a processo inizialmente per l'accusa di abbandono d'incapace (nello stesso processo erano imputati anche tre infermieri e tre agenti della Polizia penitenziaria, assolti in via definitiva). Condannati nel giugno 2013 per il reato di omicidio colposo, gli stessi medici furono successivamente assolti in appello. E da lì iniziò una nuova vita processuale fatta di un primo intervento della Cassazione che rimandò indietro il processo. I nuovi giudici d'Appello confermarono l'assoluzione che fu impugnata dalla Procura generale. La Cassazione rinviò nuovamente disponendo una nuova attività dibattimentale conclusasi oggi.

«Una sentenza che lascia l'amaro in bocca. Non é comprensibile dal punto di vista logico perché l'assoluzione della dottoressa Corbi avrebbe dovuto comportare come conseguenza anche l'assoluzione del primario». Lo afferma l'avvocato Gaetano Scalise, difensore del primario dell'ospedale Sandro Pertini, Aldo Fierro, commentando la decisione della corte d'assise d'appello di Roma. «Aspettiamo di leggere le motivazioni e quasi sicuramente faremo ricorso in Cassazione», conclude il penalista.

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