Salvini, resa dei conti nella Lega: 10% colpo alla leadership, Zaia e Fedriga si scaldano

Crolla il Carroccio, 7 punti sotto il 2018. Nelle regioni al Nord c’è il sorpasso di FdI

Salvini e la soglia del 10%, resa dei conti nella Lega: Zaia e Fedriga si scaldano
Di tutti i bocconi serviti sul tavolo delle elezioni politiche, è uno dei più difficili da digerire. La Lega potrebbe fermarsi non lontano dal 10%. Se le proiezioni...

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Di tutti i bocconi serviti sul tavolo delle elezioni politiche, è uno dei più difficili da digerire. La Lega potrebbe fermarsi non lontano dal 10%. Se le proiezioni finali confermassero, si tratterebbe di un colpo alla leadership di Matteo Salvini, che su altre cifre aveva scommesso la sua permanenza al timone del Carroccio. E non a caso quando i primi exit-poll irrompono sugli schermi degli smartphone a via Bellerio, dove insieme al “Capitano” è riunito lo stato maggiore leghista, i volti si fanno scuri. Il centrodestra vince, ma per la Lega rischia di assomigliare a una vittoria di Pirro. Difficile dire altrimenti, visto che nella mattinata di ieri era stato lo stesso leader a piantare i paletti. «Conto che la Lega sia la forza parlamentare sul podio, prima, seconda o terza al massimo - la previsione uscito fuori dal seggio milanese - da domani basta chiacchiere, dagli impegni si passa ai fatti». 

Meloni, la vittoria alle elezioni è la breaking news sui siti dei media internazionali

I NUMERI

Un pronostico azzardato, mugugnano dai piani alti del Carroccio. Smentito dal tabellone finale, che conferma il sorpasso al terzo posto del Movimento Cinque Stelle e di Giuseppe Conte sulla corazzata leghista temuto alla vigilia. «Gioco per vincere, non partecipare», aveva rincarato ieri ancora l’ex ministro dell’Interno. È la prima, sonora battuta d’arresto della parabola politica di Salvini. Finora in grado di rivendicare sotto la sua leadership una scalata continua del partito, raccolto fra le macerie al 3% nel 2013 e proiettato al 17% nel 2018 e nel 2019 a quel 34% delle europee che oggi è un ricordo sbiadito.

Una legacy che rimane ma viene adesso incrinata dallo scivolone alle urne. Che ha riportato il Carroccio vicino a una “soglia psicologica” ben nota ai militanti. Quel 10.4% con cui Umberto Bossi, nel lontano 1996, ha raggiunto il picco della sua fortuna politica. Ma quella era la Lega Nord e sulle bandiere campeggiava Alberto da Giussano. Niente “Salvini premier” e tantomeno “Prima l’Italia”. Di qui un pensiero che si fa largo in queste ore tra i maggiorenti che ribollono.

Ha senso ancora parlare di Lega nazionale? E soprattutto, è arrivato il tempo di un ritorno alle origini, cioè al Nord? Pensieri che riaffiorano a leggere le percentuali al Sud. Lontane dai numeri trionfali che tre anni fa, nella sfida europea, accompagnarono la discesa nel Mezzogiorno del Capitano. Ma un campanello d’allarme arriva anche dai numeri interni al centrodestra. Con FdI che in alcune roccaforti leghiste - soprattutto in Veneto - ingrana la quinta e passa avanti. «È stato un voto di protesta contro di noi. Un consenso volatile per la Meloni ma un messaggio netto alla Lega», mormora un big del partito al Nord.

Una protesta che si chiama autonomia, la grande promessa della Lega oltre il Po rimasta finora disattesa. E che adesso sarà ancora più difficile mantenere. Perché il magro bottino alle urne può indebolire Salvini al tavolo delle trattative per il governo, dove si dovranno riempire le caselle dei ministri. Certo, “no Lega no party”, minacciano i fedelissimi con un avviso a Meloni: «Ne abbiamo già fatto cadere uno di governo», tuona un colonnello dalla sede milanese. Ma non è un mistero che la matematica elettorale conterà sul bilancino dell’esecutivo che verrà. 

IL FRONTE INTERNO

Per Salvini si apre ora un fronte interno. Fra barricaderos che - specie in Lombardia, la regione più scossa dalla compilazione delle liste in agosto - iniziano a ventilare le dimissioni. E il cerchio magico impegnato invece a fare scudo per rinviare il redde rationem. Comunque vada, sarà difficile posticipare a lungo il rebranding del partito. Raccontano che nelle ultime settimane, da via Bellerio, sia partita una nuova ondata di attacchini per aggiungere ai manifesti di Salvini affissi nei piccoli centri del Nord («sostituire», malignano gli avversari) i cartelloni con il solo logo del partito sopra. Il segretario, da parte sua, ha una consolazione.

 

 

La frenata alle urne tocca anche i suoi rivali veri o presunti nel partito. Su tutti il “Doge” Luca Zaia, che difficilmente schiverà il boomerang del sorpasso di FdI in Veneto. Tra chi fa un pensiero concreto alla leadership c’è il governatore del Friuli-Venezia Giulia Massimiliano Fedriga. Ma ci vorrà tempo. I lunghi e vecchi riti interni del Carroccio sono un salvagente per Salvini. Con i congressi cittadini appena partiti, di Congresso nazionale non si parlerà fino a fine 2023. Per la politica italiana è un’era geologica.

 

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Il Messaggero