Oltre i comizi/ Il disegno comune dei leader di governo

Oltre i comizi/ Il disegno comune dei leader di governo
In Italia abbiamo due sinistre, quella democratica e quella grillina, che faticano ad allearsi stando all’opposizione. Cosa c’è di strano nell’avere due...

OFFERTA SPECIALE

2 ANNI
159,98€
40€
Per 2 anni
SCEGLI ORA
OFFERTA MIGLIORE
ANNUALE
79,99€
19€
Per 1 anno
SCEGLI ORA
 
MENSILE
6,99€
1€ AL MESE
Per 6 mesi
SCEGLI ORA

OFFERTA SPECIALE

OFFERTA SPECIALE
MENSILE
6,99€
1€ AL MESE
Per 6 mesi
SCEGLI ORA
ANNUALE
79,99€
11,99€
Per 1 anno
SCEGLI ORA
2 ANNI
159,98€
29€
Per 2 anni
SCEGLI ORA

OFFERTA SPECIALE

Leggi l'articolo e tutto il sito ilmessaggero.it

1 Anno a 9,99€ 89,99€

oppure
1€ al mese per 6 mesi

Rinnovo automatico. Disattiva quando vuoi.

L'abbonamento include:

  • Accesso illimitato agli articoli su sito e app
  • La newsletter del Buongiorno delle 7:30
  • La newsletter Ore18 per gli aggiornamenti della giornata
  • I podcast delle nostre firme
  • Approfondimenti e aggiornamenti live

In Italia abbiamo due sinistre, quella democratica e quella grillina, che faticano ad allearsi stando all’opposizione. Cosa c’è di strano nell’avere due destre che invece stanno unite al governo? Senza contare che abbiamo anche due o forse tre o quattro centri: alcuni che guardano a destra, altri che guardano a sinistra.


Insomma, nessuna patologia, siamo nella fisiologia di un sistema politico storicamente frammentato o multipartitico dove – che siano politici o tecnici – possono nascere solo governi sostenuti da una vasta e inevitabilmente composita maggioranza parlamentare. Le coalizioni senza dissidi interni e continue fibrillazioni non esistono, come proprio noi italiani sappiamo per lunga esperienza.

Detto questo, la competizione tra Giorgia Meloni e Matteo Salvini è un fatto, che nasce a sua volta da una questione reale. Evidentemente abbiamo due destre tra loro diverse, sebbene spesso accomunate dagli osservatori dietro il marchio generico di “populismo”. Diverse per origine e destinazione, avendo entrambe nel frattempo conosciuto permutazioni e cambiamenti interni molto grandi, ma non per questo destinate al cozzo finale.

La Lega nasce secessionista su base territoriale: la Padania indipendente contro l’Italia unita risorgimentale. Paganeggiante e anti-romana. Ultra-liberista e contro l’Europa. A tratti folcloristica ma romanticamente tradizionalista: i dialetti e gli antichi costumi delle valli e dei monti di un Nord idealizzato perché nel frattempo largamente scomparso sotto i colpi dell’industrialismo.

Salvini a un certo punto ne ha fatto un partito nazionalista “italiano”, l’ha cristianizzato in senso ideologico, l’ha trasformato in una macchina di propaganda soprattutto sul tema della sicurezza pubblica e della difesa dei confini contro ogni minaccia esterna, intercettando su questi temi un consenso crescente quanto alla prova dei fatti labile. Quando tentò di tradurre il consenso sul suo nome in governo solitario della nazione, facendo saltare il governo giallo-verde, capì che doveva modificare la rotta.

Riemerse allora quello che è sempre stato il vero punto di forza del partito visto dai suoi elettori, al di là dei proclami ideologici: il pragmatismo operoso che al Nord condividono padroni e operai e che i suoi amministratori sul territorio hanno incarnato sin dalle origini nei termini di un buon governo del territorio molto simile, come ispirazione e metodo, a quello che esprimevan0 un tempo le “regioni rosse” dell’Italia centrale. Le colonne portanti della Lega sono ancora oggi i suoi governatori e sindaci. E lo stesso Salvini, dovendo scegliere per sé un posto al governo, ha preferito i Lavori Pubblici al Viminale.

Se questa è la traiettoria di una Lega tornata ad essere nordista anche nei numeri dopo aver coltivato ambizioni da partito nazionale, l’ospitata a Pontida di Marine Le Pen, che molti governatori non hanno gradito senza tuttavia fare polemiche pubbliche, sembra una scelta ad effetto più che l’inizio di un’alleanza futura in Europa, un tentativo di riprendersi la scena facendo leva su un allarme, quello di un’immigrazione verso l’Italia senza controllo, tornato di grande attualità. Ma invitare una ipernazionalista, fautrice del centralismo statalista alla maniera che è propria della destra radicale francese, quando la battaglia della Lega vorrebbe essere quella sulle autonomie territoriali, è una mossa che, passata la festa, potrebbe non avere alcun seguito concreto.
Fratelli d’Italia come partito ha una storia diversa. Nasce, romanocentrico, da una costola del post-fascismo introiettando formule politiche e abiti mentali tipici di una destra giovanile intrisa di legalismo e senso dello Stato (il mito di Falcone e Borsellino), di spirito antipartitocratico, di sentimentalismo nazionalistico e di un immaginario, largamente mutuato dalle saghe di Tolkien, popolato di eroi in lotta contro il male e a difesa della civiltà. Un patchwork utile per tenere unita una comunità militante, ma forse debole per proporsi, mano a mano che si cresceva nei consensi, come forza di governo alternativa.

Da qui il progressivo spostamento ideologico di questa destra verso la tradizione conservatrice europea (“Dio patria e famiglia”: vecchia e gloriosa triade bistrattata solo da chi sa poco di come funzionino, anche nella post-modernità, le forme elementari del legame sociale e politico), i rapporti con il repubblicanesimo statunitense, l’euroatlantismo come scelta coerente e obbligata di politica estera, la democrazia con un capo come modello funzionale alternativo ai capi senza democrazia con i quali si era talvolta civettato, l’ammorbidimento della retorica sovranista in una chiave di europeismo dialogante e dunque la ricerca proprio in Europa di nuovi schemi di alleanza.

Percorso perseguito con convinzione e applicazione dalla leader Meloni, meno da alcuni pezzi della sua classe dirigente, ma fattosi oggettivamente irreversibile specie dopo la vittoria elettorale dell’anno scorso e l’insediamento a Palazzo Chigi.

L’incontro a Lampedusa con la von der Leyen nel giorno in cui Salvini abbracciava a Pontida la Le Pen è la traduzione plastica di una destra che, per stabilizzare definitivamente la sua crescita, sta tentando un’operazione non facile ma necessaria. Coniugare l’italianismo e la difesa dell’interesse nazionale con un’adesione convinta ma realistica alle dinamiche che governano l’Unione europea. Legare il tradizionalismo sociale con una visione pragmatico-modernizzatrice della società: lasciando perdere Dio, che si difende da solo, e ricordando che si può essere religiosamente laici e, soprattutto, che i conservatori veri sono quelli che governano i cambiamenti, mentre quelli che li rifiutano in blocco si definiscono reazionari. Difendere il ruolo dominante dello Stato in materie cruciali (sicurezza. istruzione, sanità, politiche sociali) ma senza soffocamenti burocratici e tutele corporative che per definizioni danneggiano l’interesse pubblico.

Non è detto ovviamente che la cosa riesca, ma a giudicare dai sondaggi quello incarnato dalla Meloni, a fronte delle molte oggettive difficoltà che sta incontrando il suo governo (in primis sul tema dell’immigrazione), sembra un progetto credibile per molti italiani. E fuori dal quale c’è comunque solo il ritorno al comodo ma inutile ruolo dell’oppositore perpetuo al sistema.

Due destre – quella del Nord e quella nazionale, quella autonomista e quella presidenzialista, quella più attenta alle imprese e alle libere professioni e quella più sensibile alle istanze del vasto esercito dell’impiego pubblico, quella tentata da un radicalismo ideologico che non appartiene alla sua storia e quella conservatrice, quella euroscettica e quella eurorealista ma comunque entrambe europeiste perché lo impone il vento della storia e la nostra convenienza come nazione – diverse ma che possono convivere. Avendo del resto anche diverse posizioni comuni, su tutte la difesa delle identità collettive ereditate dal passato contro la globalizzazione livellatrice delle culture e delle appartenenze, e a condizione che i rispettivi leader non tirino troppo la corda per interessi di partito che sono legittimi, ma che se estremizzati anche risultare controproducenti per le proprie ambizioni.

Leggi l'articolo completo
su Il Messaggero