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SIENA «Ci vuole una commissione, un organo di controllo per gli algoritmi. Perché bisogna sapere se sono programmati per uno sfruttamento commerciale, se vanno a incidere sulla privacy, o se violano il diritto d’autore». La seconda e ultima giornata di “Crescere tra le righe”, il convegno organizzato dall’Osservatorio Giovani-Editori a Borgo La Bagnaia (Siena), è iniziata con la proposta del giornalista australiano Robert Thomson, ad di News Corp ed ex direttore editoriale del Wall Street Journal. «Gli algoritmi - ha continuato Thomson - Determinano i comportamenti attuali e lo faranno sempre di più. Con l'intelligenza artificiale sapranno più di noi. Facebook e Google credono che collegare le persone sia più importante di tutto, ma l’idealismo non può essere una scusa».
Un intervento che è stato solo il preambolo del confronto più atteso, quello in cui i due fronti - i produttori di informazione e i diffusori - si sono incontrati sul palco. Da una parte c’erano infatti il direttore del Wall Street Journal, Gerard Baker, quello del New York Times, Dean Baquet e lo stesso Baron, dall’altra il vicepresidente di Google News, Richard Gingras, il direttore delle partnership mondiali sui contenuti di News Twitter, Peter Greenberger e la direttrice dei Prodotti News di Facebook, Alex Hardiman.
«Dal nostro punto di vista gli editori hanno goduto di tecnologie per la distribuzione dei ricavi pubblicitari che hanno consentito loro di guadagnare 12,7 miliardi di dollari - ha risposto invece Gingras - Ogni mese da Google partono più di 10 milioni di visite alle pagine degli editori. Sarei cauto sulla richiesta di creare un altro sistema di distribuzione. Come si realizzerebbe tutto ciò? Ci sarà un'istituzione che decide quale è il giornalismo di qualità? Non dobbiamo creare strumenti artificiali». Stessa linea per Hardiman, di Facebook: «Dobbiamo cercare strade percorribili. Vogliamo far funzionare strumenti utili per l'editoria, attraverso lo sviluppo degli abbonamenti e la crescita dei ricavi pubblicitari. Anche per questo spenderemo più di 19 milioni di dollari contro le fake news, per favorire le notizie di qualità. Possiamo finanziare il giornalismo di qualità ma non possiamo farlo con tutti». «Su Twitter - ha quindi aggiunto Greenberger - c'è la più grande concentrazione di abbonati di grandi giornali. I nostri utenti sono assetati di notizie. Vogliamo essere un ponte per spingerli verso i siti dei quotidiani, per convertirli in abbonati».
Dalla sua, Baquet ha provato a tendere la mano agli interlocutori: «I segnali che vediamo dall'aumento degli abbonamenti dimostrano che la gente è disposta a pagare per la qualità. Il mio sogno è far sì che l'informazione di qualità diventi indispensabile». Ma a sancire la pace, seppur solo apparente, è stato Baron: «Non siamo in guerra. Abbiamo differenze di opinioni con gli operatori della Rete, che però ci hanno consentito di distribuire i nostri contenuti in un modo che per noi, da soli, sarebbe stato impossibile. Dobbiamo solo parlare». Come a dire che le soluzioni sono ancora lontane, ma che nessuno può permettersi di lasciare il tavolo delle trattative. Come ha detto, riassumendo, nel suo discorso conclusivo il presidente dell’Osservatorio, Andrea Ceccherini: «Da soli si va più veloci, ma insieme si va più lontano». Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero