Morte di Borsellino, chiusa la nuova inchiesta per depistaggio

La strage di via D'Amelio
A poco più di due anni dall'archiviazione, si riapre il sipario sul clamoroso depistaggio dell'indagine sull'attentato al giudice Paolo Borsellino e agli agenti...

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A poco più di due anni dall'archiviazione, si riapre il sipario sul clamoroso depistaggio dell'indagine sull'attentato al giudice Paolo Borsellino e agli agenti della sua scorta. La Procura di Caltanissetta ha notificato l'avviso di chiusura dell'inchiesta a carico di Mario Bo, funzionario di polizia che faceva parte del pool che coordinò gli accertamenti sulla strage del 19 luglio del 1992, e dei poliziotti Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo. Per tutti e tre l'accusa è di calunnia. Avrebbero confezionato una verità di comodo sulla fase preparatoria dell'attentato e costretto il falso pentito Vincenzo Scarantino a fare nomi e cognomi di persone innocenti. Un piano dal movente non definito, con un regista ormai morto: l'ex capo della task force investigativa Arnaldo La Barbera, comprimari come Bo e «esecutori» come Ribaudo e Mattei.


Un piano costato la condanna all'ergastolo a sette innocenti scagionati, una volta smascherate le menzogne, dal processo di revisione che si è celebrato a Catania. La svolta nell'inchiesta della Procura di Caltanissetta, che dopo anni di inchieste e grazie alle rivelazioni del pentito Gaspare Spatuzza, è riuscita ad individuare i veri artefici della fase preparatoria della strage, è arrivata a ridosso dall'imminente deposito della sentenza emessa nel corso dell'ultimo processo per l'eccidio di Via D'Amelio, deposito che si attende per i prossimi giorni.

Nel provvedimento di sette pagine notificato ai tre indagati la procura nissena ha ricostruito il ruolo di Bo, Mattei e Ribaudo nel depistaggio. Bo, prima che Scarantino mostrasse la volontà di collaborare con la giustizia, seguita poi da mille ritrattazioni, gli avrebbe suggerito, anche mostrando le foto dei personaggi da accusare, cosa riferire all'autorità giudiziaria. E avrebbe fatto pressioni imbeccando Scarantino in modo che riconoscesse alcuni indagati, istruendolo sulla verità da fornire e facendogli superare le contraddizioni con le versioni rese da altri due pentiti:Salvatore Candura e Francesco Andriotta. Un piano che, nonostante la palese inattendibilità di Scarantino protagonista di mille ritrattazioni anche in sedi giudiziarie, ha retto fino alla Cassazione e ha portato alla condanna ingiusta al carcere a vita di Salvatore Profeta, Gaetano Scotto, Cosimo Vernengo, Natale Gambino, Giuseppe La Mattina, Gaetano Murana e Giuseppe Urso . Oggi tutti scagionati.

A Mattei e Ribaudo che curavano la sicurezza di Scarantino dopo il falso pentimento i pm contestano di averlo imbeccato «studiando» insieme a lui le dichiarazioni che avrebbe dovuto rendere nel primo dei processi sulla strage per evitargli incongruenze e di averlo indotto a non ritrattare le menzogne già affermate. Bo avrebbe «diretto» le operazioni di condizionamento del pentito. La corte d'assise di Caltanissetta, presieduta da Antonio Balsamo, un anno fa condannò all'ergastolo i boss Salvo Madonia e Vittorio Tutino, imputati di strage e a 10 anni i «falsi pentiti» Francesco Andriotta e Calogero Pulci, accusati di calunnia. I giudici dichiararono estinto per prescrizione il reato contestato a Vincenzo Scarantino pure lui imputato di calunnia.


Resta ancora oscuro, però, almeno in questa fase il movente del depistaggio. Solo due anni fa i pm sostennero di non avere elementi idonei per sostenere il giudizio a carico di Bo e di due altri funzionari Salvo La Barbera e Vincenzo Ricciardi e il caso i venne chiuso. Dopo l'archiviazione le indagini, però, sono ripartite e si sono arricchite di nuove dichiarazioni di Scarantino e della moglie. Entrambi hanno raccontato le pressioni e le violenze subite dal falso pentito da parte dei poliziotti che pretendevano confermasse le loro versioni. Nel nuovo fascicolo è finita anche parte dell'attività istruttoria svolta nel corso dell'ultimo processo per la strage in cui Bo venne sentito come teste non potendosi più avvalere, dopo la archiviazione della sua posizione, della facoltà di non rispondere.
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Il Messaggero