Caporalato al cantiere navale, uno degli operai sfruttati: «Ogni due mesi restituivo 1000 euro». In due a processo

Caporalato al cantiere navale, uno degli operai sfruttati: «Ogni due mesi restituivo 1000 euro». In due a processo
di Stefano Rispoli
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Sabato 18 Maggio 2024, 03:35 - Ultimo aggiornamento: 11:02

ANCONA Parte degli stipendi finivano in una busta indirizzata “al boss”. A casa del titolare della ditta che lavorava in subappalto nello stabilimento della Fincantieri, nel porto dorico, la Finanza nel 2019 trovò in effetti 41mila euro, ritenuti la prova tangibile dello sfruttamento a cui venivano sottoposti almeno 3 operai bengalesi, costretti - secondo l’accusa - a restituire in contanti parte dello stipendio ricevuto.

Il racconto

«Mille euro li ho versati all’inizio per essere assunto a tempo indeterminato - ha raccontato ieri in aula una delle vittime -.

Prendevo circa 1400 al mese, pagato dai 5 ai 7 euro all’ora, e me ne venivano chiesti indietro 500, ma io ne davo solo 200-300 perché il resto lo dovevo spedire alla mia famiglia in Bangladesh». Una sorta di “sconto” nel sistema di caporalato che, secondo la pm Irene Bilotta, era consolidato all’interno della ditta che si occupava di coibentazione degli scafi navali: un caso che era emerso grazie all’esposto presentato dalla Fiom-Cgil. «Quando mi hanno aumentato lo stipendio, ogni due mesi dovevo dare al capo 1000 euro. Poi nel 2019 mi sono dimesso» ha raccontato l’operaio.

Con l’accusa di sfruttamento del lavoro sono finiti a processo 6 bengalesi: 4 (il capo e 3 suoi collaboratori) sono stati assolti in abbreviato perché il gup non ha riscontrato la presenza di uno stato di bisogno dei lavoratori, cioè di una situazione di difficoltà così grave da indurli ad accettare condizioni-capestro. Altri 2 bengalesi, difesi dall’avv. Massimo Canonico, sono ancora sotto processo, che si concluderà il prossimo 22 novembre quando verranno interrogati. Ieri è stato ascoltato uno dei finanzieri che ha condotto le indagini, basandosi anche su intercettazioni telefoniche: per non correre rischi gli indagati conversavano con un’app fantasma che non lascia tracce. Oltre al contante, gli inquirenti hanno trovato pure prove di una contabilità parallela in cui venivano segnate ore e retribuzioni effettive, diverse da quelle presenti in busta paga.

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