Ma nelle settimane successive si fecero avanti una quarantina di altre presunte vittime, per un ammontare di circa 300mila euro che sarebbero finiti nelle tasche della donna, dell’ex fidanzato e dei suoceri (sotto processo a Roma). Tra i tanti anche un’amica d’infanzia e una vicina, cui la vigilessa invece della multa avrebbe lasciato un post-it sotto il tergicristalli della macchina: «C’era scritto che mi doveva parlare perché c’era un’opportunità di lavoro per mia figlia, ventenne disoccupata. Mi ha fatto il nome di un politico influente e io le ho dato 15mila euro». La donna rivuole i suoi risparmi e la figlia il risarcimento dei danni morali.
Dalle ricostruzioni sembra che per rendersi più credibile l’ispettrice avrebbe esibito contratti curati nei minimi dettagli: in casa le sono stati sequestrati dei timbri della presidenza del Consiglio. Fatto sta che il pm Stefano D’Arma ha chiesto il giudizio immediato, ovvero il processo subito. Mentre la raffica di parti civili è rimasta a bocca asciutta perché la vigilessa, con la continuazione, è riuscita a patteggiare di nuovo una pena complessiva a un anno e 8 mesi.
E non è finita. Le vittime, in attesa che la sentenza passi in giudicato per poter chiedere il risarcimento in sede civile, hanno scoperto che i tempi sono destinati ad allungarsi ancora: «Ci ha beffati un’altra volta. Per procrastinare ulteriormente è ricorsa in Cassazione, contro il suo stesso patteggiamento. Fiorita invece è sotto processo e sta in carcere, pur avendo promesso di risarcire le vittime».
© RIPRODUZIONE RISERVATA