Pestaggi in carcere, presidenza del Consiglio e ministero della Giustizia chiedono un milione di danni al procuratore

Mammagialla
di Maria Letizia Riganelli
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Venerdì 30 Giugno 2023, 05:20

Pestaggi nel carcere di Viterbo, la presidenza del Consiglio dei ministri e il ministero della Giustizia pronti a chiedere un milione e 400mila euro di danni al procuratore capo Paolo Auriemma e la pm Eliana Dolce. Ieri mattina davanti al gup Angela Avila del Tribunale di Perugia è iniziata l’udienza preliminare per i magistrati viterbesi indagati per rifiuto di atti d’ufficio. I due magistrati, per cui la procura inizialmente aveva chiesto l’archiviazione, sono finiti al centro di un’inchiesta per rifiuto e omissioni di atti d’ufficio, secondo l’accusa, per non aver iscritto nel registro delle notizie di reato i pestaggi e le lesioni denunciate da alcuni detenuti di Mammagialla al garante del Lazio nel 2018.

Tra questi anche il giovane Hassan Sharaf.

L’egiziano ventenne che dopo due mesi tentò il suicidio nella stanza dell’isolamento del carcere e morì una settimana dopo in ospedale. Durante la lunga e complessa udienza di ieri si sono costituite parte civile i familiari di Hassan, assistiti dall’avvocato Michele Andreano, il garante dei detenuti del Lazio Stefano Anastasia e la presidenza del Consiglio dei ministri e il Ministero della giustizia. «Vi è stata - ha spiegato l’avvocato di Stato - la violazione dell’esercizio imparziale della giustizia amministrata in nome del popolo italiano con grave pregiudizio dell’immagine dell’ente che lo rappresenta. L’attività degli imputati ha gettato grave discredito sull’amministrazione del potere giudiziario».

A gettare benzina sul fuoco è stato l’avvocato Michele Andreano, che ormai da anni conduce la battaglia per il giovane Hassan. «Il procuratore di Viterbo ha scientemente rifiutato di iscrivere “immediatamente” le notitiae criminis contenute nell’esposto del garante dell’8 giugno 2018. La dimostrazione di tale condotta illecita è un dato puramente documentale e immediatamente riscontrabile. La morte di un detenuto, non l’unica, per presunto atto suicidario era sicuramente un indice che avrebbe dovuto imporre lo svolgimento di ulteriori approfondimenti, non vi era infatti alcun pericolo di duplicazione di procedimenti. I fatti per cui oggi siamo chiamati a dibattere rappresentano, quell’innesco o se si preferisce quel mancato argine ad una deriva che ha “soffocato” il povero giovane Hassan, che è giunto in Italia solo, è stato lasciato solo ed è morto solo.Tutti, nessuno escluso, in questa vicenda hanno una frazione di responsabilità e gli imputati odierni rappresentavano la prima o se si preferisce l’ultima possibilità di porre fine al calvario di Hassan».

A difendere la posizione degli indagati l’avvocato Filippo Dinacci che ha sostenuto l’equivoco giudiziario, in una lunga e complessa arringa. La decisione del gup Avila arriverà il prossimo 18 ottobre.

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