L'addio al calcio di Ennio Cuccuini. "Il pallone è stato la mia vita, ma oggi troppe cose non vanno".

L'addio al calcio di Ennio Cuccuini. "Il pallone è stato la mia vita, ma oggi troppe cose non vanno".
di Marco Gobattoni
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Lunedì 26 Giugno 2017, 10:36
La televisione accesa sulla sfida dell’Italia under 21, il nipote Leonardo che corre con un pallone in mano in casa e un tavolo disseminato di fotografie e vecchi articoli di giornale. La vita di Ennio Cuccuini, calciatore e allenatore da
quarant’anni, ha imboccato la strada del cambiamento: un cambiamento che non avrà più il calcio al centro della vita. Ennio dipendente Telcom da 39 anni, conosciuto e amato da tutti quelli che hanno il pallone nel sangue, all’età di 61 anni ha deciso di appendere gli scarpini al chiodo, scarpini che ancora usa e usava per partite tra amici o per insegnare il calcio ai giovani del Barco Murialdina.

Ma il mondo cambia e cambia anche la vita delle persone, con quel centrocampista dalla grande corsa, ma capace di fare un lancio di cinquanta metri e mettere la palla sui piedi dei compagni che ripercorre in serenità e con un pizzico di nostalgia, una carriera costellata di successi e di sfide con il gialloblù della Viterbese (200 presenze) a fare da sfondo ad un’epopea e ad un pallone che non esistono più. “Ho deciso di chiudere con il calcio dopo quarant’anni – spiega Cuccuini – ho il lavoro e le mie passioni, in più mi voglio godere la famiglia e gli affetti che in questi anni ho trascurato troppo”.

La moglie Graziella, conosciuta e sposata a Viterbo, lo guarda dritto negli occhi capendo che la sincerità di Ennio, mai in discussione negli anni, stavolta vacilla: d’accordo sulla famiglia, gli affetti e il lavoro ma ad accelerare una decisione sofferta è stato anche un certo disamore per un calcio che ad Ennio non piace più. “Ho voluto chiudere occupandomi di giovani: sono loro che devono cambiare la nostra cultura sportiva e non. Purtroppo vedo un calcio che guarda sempre di più all’aspetto economico e meno a quello formativo. Dico una cosa forte che attirerà delle critiche: la rovina degli ultimi anni sono state le scuole calcio, in tanti le aprono e le dirigono pensando al portafoglio e non alla pesante valenza sociale e sportiva che hanno”.

Le fotografie ingiallite sul tavolo valgono più di tante parole per uno che ha vissuto tante storie dentro una carriera: calciatore, allenatore, direttore tecnico e precursore insieme al professor Franco Anelli, di un calcio a 5 che oggi è una certezza. “Sono stato sempre uno a cui le sfide non hanno messo paura. Il calcio è stata la mia vita e mi ha formato sotto tutti gli aspetti. Ho incontrato persone con cui sono rimasto amico a distanza di anni e con i quali abbiamo portato avanti progetti che oggi servirebbero come il pane. Quando parlo di giovani lancio un messaggio alle nuove generazioni: a Viterbo abbiamo bisogno di gente come Giancarlo Camilli e Carlo Maria Cardoni; persone che hanno lasciato un segno indelebile nello sport”.

I rimpianti e le gioie sono tutte racchiuse nel cuore di Ennio. “La soddisfazione più grande è stata la vittoria del campionato del 75-76’ con la Viterbese. Eravamo una famiglia e pensare che arrivai in gialloblù per caso sottoscrivendo un contratto in comproprietà al cinquanta per cento con me stesso. Rimpianti? L’anno al Rimini in serie B: mi chiamarono a fare il militare e gettai via la mia grande occasione”.

Primo giocatore viterbese ad essere convocato in maglia azzurra con l’under 20, Ennio non è solo calcio: per lui anche una passione forte come quella del teatro. “Faccio parte della compagnia Teatro Null diretta da Gianni Abate. Rispetto al calcio il palcoscenico fornisce un’adrenalina diversa. In questo momento stiamo portando in giro uno spettacolo di William Shakespeare. Il mio ruolo? Interpreto un sicario”. Un sicario buono con un pallone come arma.
 
 
 
 
 
 
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