«Alle 6 del mattino è arrivato un furgoncino al centro migranti di Acquapendente e ha caricato diversi ragazzi. Lo abbiamo seguito per un po’ fino e abbiamo visto che alla guida c’era l’imprenditore sui cui stavamo indagando». Con la testimonianza del carabiniere che ha partecipato alle attività di indagini è ripreso il processo all’imprenditore di Acquapendente accusato di sfruttamento del lavoro con l’aggravante del caporalato.
Secondo le indagini dei carabinieri della compagnia di Montefiascone avrebbe costretto almeno tre operai, reclutati in un vicino centro per rifugiati, a lavorare nei boschi per oltre 10 ore al giorno e con una paga da fame. Ovvero dalle cento alle duecento euro al mese. Le indagini sull’imprenditore, difeso dall’avvocato Enrico Valentini, sono iniziate a giugno 2018. Per più di un anno i militari e l’ispettorato del lavoro hanno seguito i suoi lavori mentre i funzionari controllavano la regolarità dei pagamenti.
Due i procedimenti a carico dell’imputato, scaturiti dalle indagini e che ora sono stati riuniti in un unico processo.
Le vittime, secondo quanto raccontato, venivano sottoposti ad orari di lavoro esorbitanti rispetto ai limiti previsti dai contratti collettivi nazionali, e venivano retribuite in modo risibile. Si torna in aula il 18 maggio 2023 per l’esame imputato e la discussione.