Carciofaro a Testaccio, i segreti su come pulirli e sceglierli: «Arriviamo a farne anche 6000 al giorno»

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Una montagna di carciofi. Saranno oltre 1000 quelli accatastati in uno dei banchi del mercato di Testaccio. Così tanti, altrove, non se ne vedono. Lo chiamano “il carciofaro”. Guanti alla mani (“sennò diventano nere”) e seduto su una poltrona blu consunta li pulisce senza sosta. “Ne arriviamo a fare circa 6000 al giorno nel periodo prima di Pasqua”, spiega Daniele Cogoni. Gran parte dei ristoranti di zona (e non solo) si riforniscono da lui. “Ho imparato da chi mi ha venduto l’attività. Era del mestiere da generazioni”. Ora custodisce i segreti che ha imparato, a partire da quale coltello utilizzare. “Tendono a dirti che devi utilizzare quello con la lama corta e arrotondata. A me non interessa, basta che tagli. Deve essere come un bisturi: cerco la tipologia di lama giusta”. E non è solo una questione di comodità. “Il carciofo per il 60% è ferro. Se non hai una lama buona, si leva subito il filo”. Una volta pulito, per mantenere il carciofo bisogna immergerlo in acqua e limone. “Faccio una vasca e li lascio a bagno, altrimenti diventano neri. Meglio a mollo che a contatto diretto, perché il limone è un acido”. Dopo una mezz’oretta li lascia asciugare e li chiude nelle buste di plastica. E i resti a chi vanno? “Li do ai cavallari, che li danno da mangiare ai cavalli, così migliorano le loro prestazioni”. Ma come si fa a capire se un carciofo è buono? “Se la foglia tende ad andare all'esterno, e non verso l'interno, allora è invecchiato. In quello buono le foglie tendono a chiudersi”. Quante bisogna toglierne? “Non c’è un numero esatto, di solito si levano fino a quando diventano bianche e sono morbide”. Un lavoro che non si limita alla pulizia, ma anche allo studio della pianta. “Tu qui li vedi tutti i carciofi, ma io li compro ai mercati generali dove sono tutti nelle cassette accatastate sulle pedane. Come fai a vederli? Per questo devi conoscere la pianta”. In quale periodo si comprano? “Il violetto va da ottobre a gennaio, mentre il romanesco da dicembre a maggio”. Anche se il “vero” romanesco “sta sparendo”. Perché? “Non ci stanno produttori e non c’è ricambio. Con lo smart working chi vuole più lavorare la terra?”.