Papa Francesco e lo scisma indiano, 400 preti prossimi alla scomunica perché si rifiutano di dire messa rivolti all'altare

Il nodo in questione riguarda la direzione in cui celebrare la messa

Papa Francesco e lo scisma indiano, 400 preti prossimi alla scomunica perché si rifiutano di dire messa rivolti all'altare
di Franca Giansoldati
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Martedì 19 Dicembre 2023, 14:12 - Ultimo aggiornamento: 22 Dicembre, 17:40

Tra le tante grane che intasano il tavolo di Francesco -  specchio di una Chiesa sull'orlo di una crisi di nervi -  c'è anche la ingarbugliata e inestricabile disputa della comunità Siro-Malabarese, letteralmente squassata al proprio interno dalla imposizione a celebrare la messa secondo la riforma liturgica decisa dal Vaticano e dei loro vertici nel 2021. Entro qualche giorno almeno 400 preti indiani, appartenenti a questa chiesa orientale, dovrebbero essere scomunicati. Uno scisma in piena regola. In pratica questi sacerdoti si rifiutano di aderire alle disposizioni papali emanate per risolvere una disputa che si trascinava insoluta da anni. 

Il nodo in questione riguarda la direzione in cui celebrare la messa, se rivolti alla comunità oppure all’altare. Al Sinodo dei vescovi della Chiesa siro-malabarese (2021) era stato scelto un compromesso, una sorta di via salomonica:  durante la prima parte della messa, la liturgia della Parola, i preti avrebbero dovuto celebrare rivolti al popolo, poi il sacerdote si sarebbe dovuto girare e continuare la celebrazione con le spalle ai fedeli.

Questa via di mezzo non da tutti è stata accettata e i 400 presti sembrano irremovibili a voler sempre celebrare verso il popolo. 

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Per fare capire l'alto tasso di conflittualità di questo caso basta solo un esempio. Ad agosto il Papa aveva mandato in India un suo inviato, l'arcivescovo Cyril Vasil, gesuita dialogante, con il mandato di fare da mediatore. Peccato che abbia incontrato talmente tante difficoltà e resistenze da essere stato preso a male parole e persino  a lanci di uova. Tutto per non voler applicare la riforma liturgica. 

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Di fatto la Chiesa cattolica è di fronte ad un altro scisma, dopo quello storico e doloroso dei lefebvriani del 1988, con la scomunica di tutti i preti e i vescovi che furono ordinati da monsignor Lefebvre e che si rifiutavano di applicare la riforma liturgica addottata dal Concilio Vaticano II. 

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Papa Francesco a giugno aveva perso la pazienza con i Siro-malabaresi e aveva azzerato i vertici della Chiesa siro-malabarese accettando anche le dimissioni del cardinale George Alencherry, e del vescovo Andrew Thazhath, l’amministratore apostolico da lui stesso nominato due anni prima. «Siete chiese, non diventate setta – aveva avvertito Francesco -. Non costringete la competente autorità ecclesiastica a prendere atto che siete usciti dalla Chiesa, perché non siete più in comunione con i vostri pastori e con il successore dell’Apostolo Pietro, chiamato a confermare tutti i fratelli e sorelle nella fede e a conservarli nell’unità della Chiesa». Nel frattempo Alencherry, 78 anni, era anche finito nei guai per degli ammanchi di denaro derivanti da una compravendita di terreni di proprietà della diocesi. La vicenda aveva sollevato una vasta eco di proteste. L'Alta Corte del Kerala il 12 agosto, respingendo ben 6 petizioni, aveva decretato che Alencherry dovrà affrontare il processo e confermava il verdetto di colpevolezza di un tribunale distrettuale del 2019. 

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L'ordine si basava su una denuncia presentata da Joshy Varghese, un membro della chiesa di Santa Maria, a Perumbavoor, una cittadina sotto l'arcidiocesi del cardinale. Al centro la vendita di una proprietà venduta ad un broker immobiliare ad un prezzo inferiore al valore di mercato, al punto che il dipartimento dell'imposta sul reddito ha imposto una multa di 35 milioni di rupie all'arcidiocesi.

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