Umbria, il cardinale Bassetti e la crisi:
«Più risoluti sull'emergenza lavoro»

Umbria, il cardinale Bassetti e la crisi: «Più risoluti sull'emergenza lavoro»
di Marco Brunacci
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Lunedì 13 Ottobre 2014, 11:57 - Ultimo aggiornamento: 12:02
PERUGIA - ​«L'emergenza lavoro? E' questo il problema. Non si può far finta di niente. La questione sociale rappresenta per l'intera classe politica un'urgenza non più rinviabile».

Il cardinal Gualtiero Bassetti è nel suo studio a Perugia, vede la Cattedrale e palazzo dei Priori, davanti ha una bella giornata di sole e una questione che gli sta a cuore.

«L'emergenza che viviamo sfida anche noi, come Chiesa. Dobbiamo rimettere al centro la persona e le sue esigenze, secondo la dottrina sociale - dico da uomo di Chiesa - ma più propriamente secondo i principi del Vangelo».



Ritiene, cardinal Bassetti, che ci sia nel mondo della politica umbra una sufficiente consapevolezza dell'emergenza che stiamo vivendo?

«Sinceramente non mi sembra. Per questo vorrei indicare uno sforzo comune, dal quale non sottraggo certo la Chiesa».

Come si esce da questo tunnel di lavoro che manca, economia che ristagna, aziende che chiudono, nuova crisi e altri posti di lavoro che si perdono?

«Capisce bene che non è facile. Ma faccio un richiamo da pastore. Vedo che quando, nelle parrocchie della mia diocesi, riesco a coinvolgere la gente, ad assicurare loro il mio ascolto, a dare la disponibilità a percorrere insieme una strada, ecco che anche i problemi che sembrano più intricati cominciano a srotolarsi davanti a noi. Vorrei invitare anche coloro che hanno responsabilità nell'amministrazione e nella politica umbra a rimettersi all'ascolto delle persone, basta col “tu non ti preoccupare, ci penso io”. La gente vuol essere interpellata, esprimersi, non vuol assistere. Invece si prendono di continuo decisioni che passano sopra la loro testa, con nessuno che vuol spiegare».

Basta con i cerchi e cerchietti magici?

«Ma certo. Basta con i cerchi magici di ogni genere. Andiamo ad ascoltare. Basta con i circoli viziosi, apriamo la società in cui viviamo. Ci sia più coinvolgimento, non tutto il potere in mano a pochi. Tornino i partiti, le scuole di formazione, nel senso dei luoghi dove si ascoltano le ragioni del popolo, che facciano da cinghia di trasmissione tra le amministrazioni e le esigenze della gente. Diamo più spazio ai giovani. Invitiamoli a occuparsi di politica nel senso profondo della vita delle città. Ci sia più senso di responsabilità e più spirito di servizio indispensabili in questo momento di crisi stringente. Non tiro fuori da tutto questo la Chiesa, mi intenda, non voglio essere in alcun modo scambiato per saccente. Il contrario. Anche tra noi ci sono i circoli viziosi. Troppe persone che hanno troppi incarichi. Non c'è sufficiente ricambio».

Il lavoro è la questione, abbiamo detto. C'è Thyssenkrupp che è pronta a licenziare.

«Noi siamo preoccupati, come vescovi umbri ci siamo messi a disposizione per tutto quel che possiamo. Ma le Acciaierie non sono l'unica questione. C'è la chimica del Ternano, c'è la questione della Merloni. Tra qualche settimana potrebbero scattare 600 licenziamenti. Il Pil dell'Umbria di queste grandi aziende non può fare a meno. Ma sono i lavoratori dell'Umbria che non ne possono fare a meno, come pure non possono rinunciare a quel comparto dell'edilizia fatto di piccole imprese, di tanti artigiani, che sta perdendo qualunque smalto. E' emergenza, lo abbiamo detto. Abbiamo bisogno della presenza dello Stato, della vicinanza della classe politica e degli amministratori, abbiamo bisogno di garanzie per i lavoratori. Dalla gente dell'Umbria arrivano segnali di nuove povertà».

Che dati avete?

«Quelli della Caritas: nei primi 9 mesi, nella diocesi perugina, sono stati raddoppiati gli interventi di aiuto ai poveri. Non poche famiglia stanno riducendo le spese per l'alimentazione, la cura della salute, l'istruzione. Non si hanno i soldi neppure per i libri scolastici».

Se dalla politica umbra le chiedessero di indicare una strada per venire fuori da questa crisi dura, cosa direbbe?

«Servono più apertura, più solidiarietà e più sussidiarietà. Pensi a quante risorse perdiamo per la nostra scarsa propensione all'accoglienza. Inviterei tutti a riflettere sugli stranieri che vengono, che danno il loro contributo di lavoratori, anche con specializzazioni elevate, che aiutano con i loro figli ad innalzare il tasso di natalità. E ricordo che l'Umbria è un regione dove il numero dei pensionati è vicino a quello degli occupati. Ed è necessario avere forze giovani per pagare quelle pensioni. Pensi a quel che perdiamo per la mancanza di senso di solidarietà, per l'individualismo che ci soffoca, per l'egoismo che uccide. E quando ci facciamo prendere dalla paura. Si ricorda la parabola evangelica dei talenti?».

Chi ha ricevuto un talento lo sotterra invece che farlo fruttare per paura di perderlo.

«Già. E' quello che sta succedendo. Chi ha qualcosa lo toglie dalla circolazione. E purtroppo proprio il permanere della crisi comporta una controtendenza: tutti sono portati a un tipo di risparmio chiuso che ferma quella circolazione del denaro che sarebbe indispensabile per incentivare il processo produttivo».

Allora, la ricetta: basta paura e ricominciano a industriarci. Ripartiamo dalla parabola dei talenti?

«Perchè no? Le dico: ho una grande angoscia quando penso che tanti giovani non trovano lavoro, si scoraggiano, finiscono per non cercarlo più. Io consiglio di rimettere al centro delle loro ricerche i lavori manuali, suggerisco alle famiglie di non essere troppo protettive nei loro confronti. Ma poi penso anche che noi priviamo una generazione di un diritto sul quale si fonda la Costituzione. Perdono la speranza di un lavoro e finiscono ai margini della società, privati della dignità del lavoro che ci rende simili a Dio. Questa crisi finirà e sarà come la primavera che arriva. Un giorno La Pira disse a un contadino: “La primavera non la decidi tu, con la tua zappa e i tuoi innesti, ma arriva”. E anche stavolta arriverà. Noi dobbiamo però preparare il terreno». Non ha detto della sussidiarietà.

«L'ente più grande non faccia quello che può fare meglio quello più piccolo. Nella montagna cortonese ho visto come dovrebbe funzionare la società. Gli abitanti di sopra hanno così ben curato i torrenti, gli alberi le cui radici reggono il terreno, i viottoli, che la comunità di sotto ha potuto prosperare. E quelli di sopra hanno mantenuto la loro identità. Ecco come si fa».

Chi deve fare di più in questa crisi?

«Gli istituti bancari prestino di più. C'è assoluto bisogno. Mentre le Fondazioni bancarie ci stanno aiutando a stare vicini ai tanti poveri. I tre milioni del fondo Ceu per le famiglie in difficoltà sono finanziati al 45% dalle Fondazioni. E' un modo buono di usare il denaro».

E la politica umbra che si appresta a contendersi la Regione?

«Si mostri all'altezza di affrontare l'emergenza lavoro, torni ad ascoltare la gente. Senza perdere tempo in inutili dispute ideologiche, faccia le sue proposte concrete e si predisponga a mettersi al servizio per lavorare al progetto di una società davvero amica dell'uomo».
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