Crisi demografica, in dieci anni spariti oltre 40mila under 64. In Umbria i giovani sono già 15mila in meno dei pensionati di oggi

Studenti in un un'aula universitaria a Perugia
di Fabio Nucci
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Domenica 14 Maggio 2023, 09:24

PERUGIA È come se in dieci anni si fosse svuotato un intero comune medio grande. Un’immagine che può essere evocata per rappresentare l’evoluzione della popolazione regionale under 64 dal 2012 al 2022. Oltre 40mila persone “sparite”, la maggior parte in età lavorativa, con la componente “over” che nello stesso periodo è cresciuta di 20mila soggetti. Numeri elaborati dall’Aur in base ai dati Istat e accompagnati da una riflessione di Paolo Montesperelli, docente della Sapienza di Roma, intitolata non a caso “Dove non volano le cicogne”. «In Umbria ancor di più la popolazione diminuisce e invecchia a ritmi molto elevati e difficilmente reversibili».
Una sorta di trappola demografica che dal 2012 al 2022 (dati di gennaio) ha visto la fascia 0-14 anni perdere circa 13mila persone, mentre quella in età lavorativa (15-64 anni) sono scese di 31mila unità. Parimenti, la fascia degli over 65 è cresciuta del 3,5%, con l’età media cresciuta di 2,8 anni, l’indice di dipendenza strutturale (il rapporto tra individui in età non attiva ogni 100 in età lavorativa) di 4,7 punti percentuali, quello di vecchiaia (numero di anziani ogni 100 giovani) del 41,8%. Per completare il poco gratificante quadro della regione, nel 2022 i nati rispetto al 2008 presentano una flessione di 3.351 unità. Al di là del paternalismo con cui qualcuno tenta di liquidare la questione, il fenomeno - come osserva il sociologo perugino – va in quadrato in una carenza di risorse materiali e immateriali: soldi e tempo. «

Se scarseggia una delle due risorse, l’altra può in parte supplirla – dice Montesperelli - ma, se sono insufficienti entrambe, bisogna tagliare attese e progetti». Si arriva a una sorta di paradosso che vede le famiglie con redditi bassi, perché magari lavora solo uno dei genitori, avere più tempo da dedicare ai figli, mentre i benestanti, che di solito sono più impegnati lavorativamente parlando, possono sopperire alla loro assenza ingaggiando una baby sitter. «Chi non ha né tempo né reddito sufficiente – spiega il sociologo - è costretto ad accantonare ogni progetto di maternità/paternità. Spesso è una costrizione, non una libera scelta e questa percezione accresce un’“ira senza oggetto”, come direbbero gli psicanalisti, livore e ostilità senza un destinatario specifico».
Intanto, il numero di figli per donna continua a diminuire, passato dall’1,44 del 2008 all’1,18 del 2021. Le donne umbre sono quindi passate da 1,29 a 1,09 figli, in linea col trend nazionale, considerando che anche le donne straniere si sono allineate a tale approccio (1,72 figli a testa nel 2021). La questione economica, più che i sermoni sulla famiglia, resta dunque centrale e su questo aspetto Montesperelli dice: «Se si seguisse una “politica dei redditi” decente e si emanassero provvedimenti più incisivi per conciliare i tempi di vita, probabilmente rallenteremmo molto il calo demografico, restituendo un clima di maggiore serenità e progettualità». Parallelamente, tra gli elementi immateriali cruciali, insieme al tempo, il sociologo indica l’istruzione, intesa come “pari opportunità educative”. «Lo dicono in tanti ma pochi aggiungono che occorrerebbe migliorare anche la qualità dell’educazione», sostiene.
Alcuni segnali positivi dall’Umbria arrivano e analizzando i dati provvisori del bilancio demografico 2022 emerge una riduzione annuale della popolazione inferiore al previsto, passando da 858.812 (1° gennaio 2022) a 854.137 (31 dicembre 2022), pari a un calo dello 0,5%.

Spiegano i ricercatori Aur: «I saldi migratori, – quello interno (+353 unità) e quello con l’estero (+3.743) – hanno compensato in modo abbastanza significativo il saldo naturale pari a -6.686 unità». Preoccupa tuttavia l’evoluzione della piramide demografica, con la classe 0-10 anni che ha un differenziale negativo rispetto a quella degli over 70 di ben 94mila persone. Anche accorpando la fascia 11-20 anni, rimarrebbe un gap di oltre 15mila persone. Come dire che i potenziali nuovi lavoratori sono già meno di coloro che sono ormai in pensione.

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