Il fotografo perugino morto a Tokyo per una scarica elettrica. I paesani ricordano:«Veniva qui con la moglie giapponese. Il suo ultimo video: «Situazione pazzesca»

Gianluca Stafisso
di Luca Benedetti
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Domenica 20 Novembre 2022, 09:43

Gianluca Stafisso è morto per una scarica elettrica. Lo scrive il sito giapponese del quotidiano The Asahi Shimbun nel raccontare la storia dell’italiano morto in un centro per immigrati. L’hanno trovato a terra nella sua cella alle sette e venti del mattino di venerdì, il controllo era passato tra le sei e le sette. Quella del suicidio è la pista che viene battuta dagli investigatori giapponesi. Ci sono ancora elementi da chiarire. Potrebbe scioglierli l’autopsia, ma ancora non sarebbe stata disposta sul corpo del fotografo, nato a Perugia, che nella cella del centro per immigrati era da solo. Non aveva malattie che potevano far pensare a una morte improvvisa, scrive il sito giapponese citando fonti investigative. Scarica elettrica, come scrive The Japan Times on line, causata da un cavo della tv.
IN PAESE
L’ultimo domicilio conosciuto in Italia di Gianluca Stafisso, 56 anni, fotografo e designer con un curriculum raccontato su linkedin da fare invidia, porta a Castelnuovo, campagna di Assisi. In paese ci sono due luoghi di ritrovo classici: il bar che è anche alimentari e ristorante e, dopo la chiesa, il forno-panetteria.
«Ah, Stafisso? Sì, mi ricordo». Mi ricordo, e piano piano, con la fotografia sotto agli occhi e il giornale che parla della morte, i paesani si aprono. Il padre morto tanti anni fa, la mamma lo scorso anno. «Però era un ragazzo un po’ difficile», raccontano al negozio di alimentari mentre le donne del paese che hanno sfidato la poggia del sabato fanno la spesa. «Dove abitavano? Andate dopo la chiesa e girate a destra, lì ci sono le case popolari».
Prima c’è la panetteria. Stafisso lo ricordano tutti. O meglio, conoscevano mamma Giovanna, morta il 22 agosto dell’anno scorso. Morta in solitudine al secondo piano della casa popolare di piazza del Lavoro, al numero 4. Quella casa è chiusa dal giorno del funerale. Sul terrazzo la parabola, sul campanello in due cognomi: Verzini, quello della mamma e Stafisso, quello del papà.
«Lui? Ma sì che me lo ricordo? Un tipo un po’ strano, con diversi problemi da ragazzo. Si sì stava in Giappone. Un paio di volte- ricordano al forno- è venuto anche con la moglie giapponese qui in paese, ma ormai sono anni che non lo vediamo. La mamma? Una gran brava donna. Finché si poteva portava qui a cuocere le pizze di Pasqua».
LA VICINA
Quelle case popolari dove la morte di Giovanna ha lasciato un brutto ricordo per tutti, sono lunghe e basse.
Una vicina si affaccia alla finestra. «Giovanna? Ci siamo conosciute trent’anni fa. Adesso vi racconto. Il marito aveva una sartoria a Brufa. Nei tempi belli avevano anche dieci operai. Lavoravano, lavoravano. Qui sono arrivati dopo aver cambiato casa diverse volte. Lui è morto prima di lei. Il figlio? Adottato. Non gli hanno fatto mancare nulla. Sì, stava in Giappone. Lei le mandava i soldi. Anzi, lui li chiedeva. Li chiedeva anche quando era qui. No, non si è visto quando lei è morta. Caduta in terra dietro alla porta d’ingresso. Conoscevo le sue abitudini, un giorno non l’ho vista. Sono arrivati i pompieri e l’hanno trovata morta. Che brutto, non se lo meritava. Aveva 84 anni. So che lui ha un figlio, al Nord, mi sembra a Milano. L’aveva avuto quando era molto giovane. E ogni tanto qui si vedeva un nipote di lei che vive a Santa Maria. Giovanna non aveva problemi di soldi. Ma l’hanno lasciata sola. Un po’ l’aiutavano a fare la spesa e ad andare dal medico quelli del centro sociale di Cannara. Povera Giovanna, sempre con il suo bassottino che la tirava e lei dietro».
A Castelnuovo raccontano. Da Tokyo rimbalza la storia di Gianluca, due anni vissuti sotto a un ponte, le accuse alla moglie di averlo ridotto al verde e all’ambasciata di non aiutarlo. Tutto raccontato in oltre venti video. L’ultimo quello del 18 settembre, due anni dopo il primo sotto al ponte che stava a un chilometro dalla casa dove ha vissuto per 17 anni. «La situazione- accusava- è pazzesca, mi sono potuto rifugiare solo qui». Poi, il 25 ottobre, viene fermato e portato nel centro per immigrati di Shinagawa dove è morto.

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